Tra i 150.000 contattati per l’indagine sierologica sulla circolazione del corona virus c’era anche il mio nome.
L’ho scoperto sabato scorso all’ora di pranzo quando, sul cellulare, mi arriva un sms che avverte di una prossima chiamata da parte della Croce Rossa che avviene verso le 18.30. Una cortese addetta mi informa, innanzitutto, che la mia partecipazione all’indagine è su base volontaria e che, se dovessi accettare e scaturisse un risultato di positività sarei contattato per sottopormi al tampone ma, nel frattempo, dovrei restare in isolamento per almeno 14 giorni.
Forse inconsciamente non penso alle conseguenze ed accetto.
Mi vengono poste domande sul mio stato di salute e su eventuali contatti a rischio avuti negli ultimi mesi. Al termine mi ricorda che potrò, comunque, decidere di ritirarmi anche all’ultimo minuto, basta una telefonata al numero che mi indica.
Non ero in casa e quindi quando vi faccio rientro ne parlo con mia moglie facendole presente la possibilità di ritornare sulla decisione presa.
Valutiamo la situazione e le eventuali conseguenze di una positività.
Lavoro in proprio e restare lontano dallo studio anche solo 14 giorni, benché si possa lavorare da casa, creerebbe notevoli problemi.
Per non parlare della vita affettiva letteralmente stravolta da una eventuale quarantena. Ma nonostante questo anche lei mi conforta nella decisione; quindi si procede. Lunedì 8 giugno.
All’ora stabilita mi reco alla Croce Rossa.
Mi accoglie una volontaria anche lei molto cortese e, poiché al momento non vi sono persone in attesa, mentre si procede al prelievo ci scambiamo due parole sull’indagine sierologica.
Resto incredulo quando mi dice che circa il 60% delle persone contattate ha rifiutato di partecipare.
Torno al lavoro ed ancora penso a quella percentuale e non voglio crederci.
Memore dei corsi di aggiornamento per l’iscrizione all’albo dei giornalisti vado a verificare i dati.
Con mia sorpresa scopro che la volontaria è stata anche troppo ottimista.
Mi si presentano subito alla mente le immagini delle persone affacciate ai balconi o alle finestre che cantano durante il lockdown o di coloro che hanno appeso bandiere tricolori alla finestra per non parlare di chi ha applaudito medici ed infermieri e fatto di frasi quali “andrà tutto bene” il proprio motto sui social.
Come è possibile che quando siamo chiamati a fare qualche cosa in prima persona le percentuali crollino così tanto?
Certo ha rinunciato anche chi, come me, non ha cantato, appeso bandiere e fatto altro.
Mi rendo conto è molto più semplice fare gesti esteriori (seppur importanti) che mettere in ballo il proprio privato.
Sto aspettando che passino le 24 ore entro le quali, in caso di positività, sarei richiamato per essere sottoposto a tampone.
Guardo il telefono nella speranza che non squilli e quando lo fa (troppo spesso) tiro un sospiro di sollievo nel vedere un numero conosciuto.
Comprendo anche chi non se l’è sentita di dare il proprio assenso ma, almeno, se è tra coloro che lo hanno fatto, togliesse bandiere e ripensasse a quei canti, applausi, ed altre esternazioni come gesti vuoti e senza senso per non dire offensivi.