Il COVID-19 o, come tutti affettuosamente lo chiamiamo “il Coronavirus”, è ormai entrato prepotentemente nella nostra quotidianità.
Io me ne sono accorto giovedì 5 marzo all’indomani del 1° decreto governativo quando, recatomi come di consueto per lavoro in uffici pubblici, ho trovato le porte sbarrate e l’entrata contingentata con tanto di cartelli che indicavano le prescrizioni a tutela della nostra salute.
In quell’attimo preciso ho elaborato un solo pensiero: “non sono preparato”.
Fino a quando il tutto era lontano, perché anche Codogno è lontano quando vogliamo, non ci si pensa.
Poi arriva a casa nostra.
Si entra pochi per volta, si attende fuori, non possono esserci persone in sala di attesa, quando accogli un’altra persona non puoi stringergli la mano etc.
Tutto giusto.
Io mi attengo a ciò.
Non voglio essere un pericolo per me e tanto meno per chi mi sta vicino.
Spero che le mie attenzioni possano dare il risultato sperato.
Cambio abitudini.
Cerco una strada diversa, meno pericolosa, per non stravolgermi del tutto la vita.
Mi pongo domande.
Come posso accogliere una persona in casa o in ufficio senza stringergli la mano e non passare da persona sgarbata?
Sino ad oggi è stata la prassi.
Improvvisamente dobbiamo cambiare.
Tu non mi allunghi più la mano ed io devo riflettere un attimo per non farmi di te un’idea sbagliata.
Non sei asociale, mi stai difendendo da una possibile infezione.
E allora ho deciso.
Quando incontro qualcuno che conosco metto subito, già quando è lontano o mi avvicino ad aprire la porta, la mano in tasca.
Ho qualche secondo in più per riflettere e non fare un gesto che da sempre mi è spontaneo: allungarla verso l’altro ed attendere la sua.