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Arezzo, Fortezza Medicea: Diffusivum sui – l’altro e il concettuale

18 novembre 2023 - 06 gennaio 2024 Medicea opening sabato 18 novembre 2023, ore 17.00

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Sabato 18 novembre 2023, ore 17.00, Arezzo tiene a battesimo la mostra Diffusivum sui l’altro e il concettuale, a cura di Fabio Migliorati, presso i rifugi della Fortezza medicea, per una città del Natale anche di cultura visiva.

Il Critico aretino mette insieme con ForKunst il lavoro di cinque artisti diversamente equipaggiati di strumenti concettuali, per trattare la natura di questo linguaggio in modo trasversale e frastagliato, mai troppo ancillare.

Il riferimento è il glorioso concetto dei concetti: l’arte, nella sua accezione circolare, alta e profonda insieme; tra scienza e filosofia, tra matematica e retorica (o linguistica).

Su tale esempio cresce il risultato spurio del lavoro di Giuseppe Amadio, Giuseppe Biasio, Salvatore Emblema, Renato Mambor, Franca Pisani, Fabrizio Tedeschi, IMK71 come traccia da seguire per essere tradotta o, più lontanamente e liberamente interpretata, in opere che sono, se non definizione, almeno considerazione dell’arte come fenomeno di alterità: sia rimando, versione, diversivo, pretesto, citazione, metamorfosi, alterazione.

L’arte concettuale propriamente detta – non movimento o gruppo né fenomeno o manifesto, ma attitudine di una tendenza all’essenza di ciò che è – diventa introversione cosciente, incarnando quella tipicità ricorsiva dell’operare contemporaneo che fluisce tramite la poetica implicita di uno specchio frantumato o deformato.
Questo linguaggio, diffusivum sui, si estrinseca quasi in autonomia nel rivolgersi a se stesso, e regala la propulsione speculativa della distanza in accezioni, trasposizioni liriche, fluttuazioni  allegoriche,  metafore.
Dalle nobili origini americane, alle scuole mitteleuropee o giapponesi, conceptual art significa guardare e guardarsi dentro, in un viaggio teoretico che permette esondazioni di senso immuni da ogni distanza svantaggiosa.

L’azione concettuale si prefigge insomma di eleggere l’arte a dato, isolandola da contaminazioni estetiche e sociologiche.
L’espressione sorge nei primi anni Sessanta, a designare l’attività di alcuni  artisti intorno alla rilevanza dei processi che stanno alla base dell’opera d’arte come prodotto oggettuale; il termine compare per la prima volta in Paragraphs on conceptual art by Sol Lewitt, 1967, per N.Y. Art-forum, seppure nel 1961 Henry Flynt avesse già usato l’espressione concept art nella sua Anthology: l’analisi dell’arte virava su concetti matematici, ricorrendo a supporti di elusiva logica strutturale sedimentata sotto l’influenza della filosofia del linguaggio di Wittgenstein, Frege, Searle e altri.
Si tenderà, poi, a presentare più semplicemente l’opera in interventi a livello progettuale oppure a rimorchio di un senso indiretto, figurato, elastico, per cui l’artista traduce l’opera in azioni e/o comportamenti che ne evidenziano il procedimento mentale implicativo.

Scrive Fabio Migliorati – Arte concettuale come tautologia, come tratto di indagine del concetto “arte” che, oltre l’originaria essenza teoretica, indica una fase analitica capace di gestire ogni aspetto indiretto, meno empirico e più intrinseco della contemplazione utile alla definizione.
E lo stadio primario di questo uso diventa una statica composizione di entità significanti, mentre il ruolo estetico si trasforma in un comportamento operativo che va da un modo di fare l’opera, a un modo di vivere l’opera, a uno di essere l’opera.
Arte, quindi, come sublimazione delle sue premesse: l’entità dell’opera diviene identità di ciò che la determina; arte come ruolo e posizionamento della propria definizione; arte come introspezione, azione ermeneutica inversa. Arte come tempo fra domanda e risposta, come spazio fra limen e limes.

Diffusivum sui – l’altro e il concettuale, a cura di Fabio Migliorati,  è anche una pubblicazione Maretti Editore,  con contributi critici del Curatore e di vari autori italiani.

A livello di significato, l’attitudine concettualista non tende a collocare esteticamente il portato esistenziale, ma tratta e stratifica le componenti dell’esistere come azioni comportamentali indistinte, la cui esaltazione propone valori conoscitivi in puri procedimenti di conoscenza. E queste formulazioni universali hanno costituito la nucleica pratica artistica di autori quali Kosuth, Barry, Graham, Venet, Kawara, Beuys, Manzoni, Andre, Cage, Kaprow, Huebler, Klein, Lamelas, Millet, Agnetti, del gruppo Fluxus, della rivista Art Language, poi processata per esempio da Arakawa, Paolini, Prini, Chiari, Burgin, Pisani, De Dominicis, Boezem, Merz, Anselmo, Calzolari, Opalka, Weiner, Dibbets… che ne estraggono varianti comportamentiste, funzionali, elastiche, globalizzanti – meno proprie o tecniche, più esteriori e poetiche.
Tutto ciò concreta la prima linea dell’arte contemporanea, nelle sue declinazioni sia poveriste o minimaliste, sia land o body, determinando modelli ancor oggi lucidamente validi.

Giuseppe Amadio, Giuseppe Biasio, Salvatore Emblema, Renato Mambor, Franca Pisani, Fabrizio Tedeschi, IMK71, pur senza riqualificare la loro attività artistica in senso definitorio, formulano una dizione dell’arte come storia dell’opera che riferisce elementi di una definizione.
Come emuli mediterranei – orme localistiche nel panorama storico italiano – hanno saputo elargire contributi poetici, più o meno razionali, gestuali, figurali, al tessuto ibrido dell’artisticità concettuale, in un democratico compromesso tra significanti e risultanti.
Tali autori, infatti, sono esenti dalla rinuncia alla nozione di stile: la loro opera non è mai immune al bisogno di esprimere tratti individualistici, emozionali, letterari, fino a mostrarsi retorica  concettualmente  eterodossa nella misura in cui cede alla propria funzione espressiva, senza tendere a connotazioni puriste.
Fabrizio Tedeschi, Totem – 2019 (courtesy the artist)

Il campione dell’artista concettuale non avrebbe neppure bisogno di realizzare l’opera, che potrebbe fermarsi all’ideologia, limitandosi al progetto di un intervento, di un’esperienza o, ancora prima, al suo scevro concetto.
Secondo Fabio Migliorati Nel pensamento dell’arte l’agire concettuale risulta più o meno diluito in maniera crescente nell’idealità, secondo tre fasi: l’idea di arte, l’idea di opera, l’idea di artista.
L’indefinitezza  evocativa, allusiva, ipotetica, come pratica intenzionale di una soluzione che alimenta il criterio idealistico dell’arte, serve allora quell’operare ossimorico che, tra pensare e fare, abbiamo chiamato “arte concettuale”.
Nel luogo assurdo di uno spaziotempo creativo, l’interstizio potenziale di questa arte si esplicita senza farlo, per lasciarsi definire quale gesto vitalistico di un’estetica del possibile: contra l’oggetto, la sensibilità, la percezione
.

Se tuttavia la dematerializzazione conduce all’idealismo, la forma diventa per eccellenza il sintomo della mercificazione, saldandosi agli oggetti con ricaduta empirica e relativa trattazione del valore: da una parte consente l’inclusione dell’opera nel meccanismo dell’economia di mercato; dall’altra, la voce dell’artista nel sistema produttivo della società. E dalle/sulle due cresce la cultura della dimensione estetica, che riferisce l’imprescindibile argomento della qualità riconosciuta, trattata, diffusa e perfino generata o dispersa – tramite canoni codificabili (bellezza, incisività, autonomia, espressività, compiutezza, originalità, autenticità… e futuri, secondo la vitalità del costume socioculturale valido nello spazio e nel tempo).

 

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