In epoca post-Covid servono gesti coraggiosi, sinceri, soprattutto semplici e concreti.
Ecco allora che un utopista accumulatore con velleità iconiche, giornalista e fondatore del Museo di Se Stesso, all’anagrafe Francesco Maria Rossi, si propone di confondere il morbo (passato, presente e futuro) offrendogli in pasto immagini fotografiche realizzate col suo smartphone. Esse hanno tutte in comune il fatto di essere quadrate e stampate su carta.
Il titolo della mostra/eventoè L’Occhio del Basilisco, con vernissage sabato 4 marzo prossimo, dalle ore 21.30, presso il Circolo Aurora di piazza sant’Agostino ad Arezzo, in parallelo con la rassegna musicale Voci di Donna.
Con L’Occhio del Basilisco parliamo di un atto di ribellione nei confronti dell’estetica “virtuale” contemporanea che potrebbe scomodare persino l’etica.
Uno sguardo meravigliato e materico su di un mondo apparentemente fatto di nulla – ove la forma sembra prevalere sulla narrazione e lo scatto assumere una identità formale autonoma – in realtà colmo di segni minimali, sottotracce, rimandi, “pericolose” emozioni, reali e concettuali.
Quasi che ogni immagine, responsabilmente, si faccia anche momento di riflessione sul concetto stesso di fotografia.
Ecco, quando guardiamo le fotografie di Francesco Maria Rossi, uno strano brivido sembra attraversarci.
Credo sia il desiderio forte dell’autore di condividere le sue piccole opere in materia, di raccontare al meglio (ora che tutti si spacciano per storyteller) qualcosa che neanche lui conosce sino in fondo, recuperando quello sguardo che sembra guardare tutto come fosse la prima e l’ultima volta.
Se esistono le religioni rivelate, questo varrà pure per le immagini: si cerca qualcosa, si trova qualcos’altro.
Di meglio e di più appropriato per il momento indefinibile che stiamo vivendo.
Come diceva Lacan: “Ogni atto mancato è un discorso riuscito”, ma questo forse non vale per il nostro utopista, che ancora crede nella vita vera e nel baccalà alla livornese.
