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lunedì, Aprile 1, 2024
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Wake Up Arezzo! Quei saraceni tra noi

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Ignorando i suoi nuovi cittadini Arezzo perde un’occasione di crescita e rinnovamento.

Dicono che traslocare sia uno degli eventi più stressanti della vita.
Se è vero, io che di traslochi ne ho fatti una decina, tutti da solo e rigorosamente senza macchina, posso considerarmi un miracolato.
L’ultimo a marzo, da Bruxelles ad Arezzo.

Ma questa volta per me è stato diverso.
Tornavo alla prevedibilità di casa.
Dopo diciotto anni tornavo alla familiarità di una città conosciuta.
Ma mi sbagliavo.
Non si può saltare due volte nello stesso fiume, ci insegna il filosofo greco.
Il tempo è passato, e Arezzo, lo avrei scoperto presto, è cambiata.

Mi è bastato un giorno nell’appartamento nuovo: via Cavour, un bilocale curatissimo al
secondo piano di un palazzo del Cinquecento, con terrazzino su degli insospettabili
giardini.
All’apparenza niente di più squisitamente italico.
Era quello che cercavo, ho
pensato tra me in quel giorno di marzo.
Poche ore e mi si è rivelata una delle novità.

Il vociare per le scale mi ha detto che i miei vicini di sopra erano una famiglia di pachistani.
Ho aperto le finestre sui cortili e mi sono sentito catapultato in Andalusia.
I frequentatori del giardino al piano terra?
Un manipolo di ragazzi spagnoli in Erasmus.
Devo dirla tutta: sulle prime ho sentito montare la stizza: e basta co’ sto multi-kulti.
Io voglio la mia vecchia città!

L’irritazione però è durata poco: ho osservato con curiosità la mia reazione
e ho riso di me.
Che ingenuo pensare di tornare indietro e ritrovare tutto come prima.
I miei vicini pachistani e i giovani dirimpettai spagnoli hanno molto in comune: fanno
casino e sono i nuovi Aretini.
Come me.

C’è del nuovo, all’ombra della Chimera.
Le cose, scopro, in questi diciotto anni, sono cambiate eccome.
Prima fra tutte, la demografia.
Ghanesi, nigeriani, siriani, pachistani, americani danno ad Arezzo il respiro internazionale che tanto mancava a questa piccola, claustrofobica cittadina dell’immensa provincia italiana.
La convivenza, diciamocela, è tutt’altro che semplice.
Li sento chiamare mambrucchi dagli Aretini DOC.
Ma i miei concittadini che imprecano contro il ragazzo che sopravvive vendendo accendini fuori dall’Obi, non fanno onore alla loro terra.

Si dimenticano che la loro provincia è solcata da sentieri che per secoli hanno accolto forestieri, cercatori di fortuna, pellegrini tra Oriente e Occidente.
La Via Francigena, i luoghi di San Francesco, ma anche la più recente Fraternità di Romena, farebbero di quella d’Arezzo una splendida terra dell’accoglienza.
Triste è allora sentire l’aretinissima vicina gridare che quei pachistani devono rispettare le
nostre regole (nostre di chi?) quando sente movimento a mezzanotte e si dimentica che i
pachistani, da musulmani, di notte a luglio si ritrovano e mangiano, rompendo il digiuno
del Ramadan.
Per non parlare poi degli Aretini dispersi nel mondo, che hanno cercato fortuna altrove. Anche loro sono immigrati per chi li accoglie (di loro ci occuperemo in una
delle prossime puntate).

Aiuterebbe avere un’amministrazione illuminata che si prendesse a cuore l’integrazione
dei nuovi arrivati.
E invece l’indifferenza, a tratti l’ostracismo, sembra essere la scelta del Comune.
Chiudere la Casa delle Culture, l’unico punto di contatto tra la città e i suoi
nuovi cittadini venuti da lontano, è stato l’epitome dell’ignoranza aretina.
Non si può relegare la gestione del loro insediamento alle ONG, che fanno già un lavoro immane. L’integrazione è compito di tutti.
Nota bene, non sono solo i richiedenti asilo ad essere ignorati dall’amministrazione comunale.
Arezzo è cieca anche alla ricchezza che portano gli americani e recentemente gli spagnoli in Erasmus.
Da quando l’Università dell’Oklahoma e l’Accademia dell’Arte si sono insediate ad Arezzo non c’è stato il minimo sforzo di dialogo da parte del Comune.
È meglio inventarsi l’ennesima rotonda per snellire il traffico della congestionata metropoli aretina piuttosto che tendere la mano al nuovo che c’è già e che basterebbe a fare di Arezzo una città più ricca.
Ignorando i suoi nuovi abitanti, Arezzo perde l’occasione di rinnovare con la sua antica tradizione d’ospitalità e continua a sprofondare nella sua muffa.

Qualche idea per gli Aretini:
quando vedete una donna velata, provate a guardarla con attenzione invece di voltarvi
la prossima volta che andate all’Obi, salutate quel ragazzo che sta ai carrelli e
chiedetegli da dove viene
se avete dei vicini stranieri, invitateli ad entrare un giorno, per un caffè
provate ad entrare in uno dei mini market a Saione, potrebbe diventare un viaggio e
farvi scoprire verdure e spezie che non avete mai assaggiato
Qualche idea per l’amministrazione comunale:
perché non organizzare una tavola rotonda con tutte le ONG che si occupano di
immigrazione e i rappresentanti delle università americane per mettersi in ascolto dei
loro bisogni senza condizionamenti?
perché non trasformare una delle tante sagre o notti rosa dello shopping in un evento di
dialogo interculturale coinvolgendo ONG ed esercizi commerciali tenuti da chi è
arrivato da lontano?
perché non promuovere lavori di pubblica utilità in collaborazione con le associazioni
culturali in cui coinvolgere Aretini in cerca d’impiego e immigrati in via di
regolarizzazione?
perché non sfruttare uno dei tanti locali comunali sfitti come la parte anteriore del
nuovo mercato coperto per creare un centro ricreativo dove insegnare italiano, proporre
laboratori multiculturali, coinvolgendo le scuole superiori del quartiere?

L’aretino medio, quello “vero” all’arrivo dei primi rifugiati deve aver avuto la mia stessa
reazione.
Ma da quel che vedo, si è fermato lì. Le reazioni, sono per definizione, poco intelligenti. All’incontro col diverso, emerge la paura, che è una naturale forma di difesa di
fronte all’ignoto.
Ma è proprio la nostra intelligenza emozionale, la manifestazione più alta di noi Homo Sapiens, che deve farci aprire il cuore.
Ci ricorderemmo allora che in fin dei conti siamo tutti uguali.
Tutti vogliamo essere felici.
C’è chi questa felicità la cerca attraversando mari e deserti, in una cittadina italiana.
C’è chi dopo tanto tempo ci ritorna.
Non facciamo dello straniero dal volto scuro un nuovo saraceno da combattere in giostra.
I veri infedeli sono quelli che voltano le spalle alla nostra umanità condivisa.

4 Commenti

  1. L’amministrazione è impegnata in poderose questioni semantiche (il nuovo nome da dare alla Fortezza Medicea) e formali (si deve continuare a consegnare la lancia d’oro dal terrazzino di piazza?). Non puoi pretendere che si concentri anche su certe bazzecole. Complimenti per il post

  2. Approfittando dei sovrumani impegni – stanti, appunto, le «poderose questioni semantiche e formali» sul tappeto – che costano ai nostri amministratori-guardiani dell’aretinità grande profusione di energie, spero in un’azione dei «saraceni tra noi»; i quali, tradizionalmente astemi, potranno forse riuscire a scoraggiare il sovracconsumo di alcole tipico delle note “settimane del Quartierista” in questi giorni nel loro pieno svolgimento.

  3. Anche io sono sconvolto dal grado di goliardia becera, violenza e degrado che ormai accompagna il Saracino. Quella che potrebbe essere una bella tradizione con cui attirare il turismo culturale di alta qualità si sta sempre più trasformando in una carnevalata da ultras. O tempora, o mores.
    Altro che cavalieri aretini, io sto con i saraceni!

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Mirko D. Coleschi
Mirko D. Coleschi
Mirko D. Coleschi - uno degli aretini nel mondo, che a volte ritornano. Laureato in Scienze della mediazione linguistica e interpretazione all’Università di Bologna, una vita in continuo Erasmus, poliglotta, lavora da 10 anni come formatore, traduttore e interprete per l’Unione europea. L’incontro con l’Asia gli cambia la vita. Fresco di un’ennesima laurea alla Sapienza, è anche coach e istruttore di percorsi psico-educazionali basati su meditazione e neuroscienze. Ha fondato Help Nepal, una onlus che sostiene l’istruzione dei bambini nepalesi. Scrive poesie da quando sa tenere la penna in mano. Se lo avvistate mentre fa yoga al Prato, avvicinatevi, non è aggressivo.

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