Troppo vecchi per i giovani e ancora giovani per essere vecchi ed Arezzo invecchia con noi
Le statistiche non perdonano.
Ci dicono che anche ad Arezzo la popolazione invecchia a vista d’occhio.
Ad esempio l’indice di vecchiaia nel 2018 dice che in città ci sono 204,2 anziani ogni 100 giovani e 60,3 individui sono a carico ogni cento che lavorano.
Sempre nel 2018 l’indice di ricambio della popolazione attiva è di 147,6 e significa che la popolazione in età lavorativa è molto anziana.
Anche a noi doveva succedere prima o poi sentirsi chiamare: “Scusi signore, ha dimenticato l’ombrello”.
E’ bastata quella vocina stridula di una acerba diciottenne a farci ricordare la nostra età, come se qualcuno ci avesse ceduto il posto in autobus.
Ma come, noi che ascoltiamo i Black Keys, andiamo in palestra ed usiamo creme idratanti?
Strano destino per i nati negli anni del boom economico, troppo vecchi per i giovani e ancora giovani per essere vecchi.
Negli ultimi cinquanta anni l’età dell’uomo è aumentata quasi del doppio.
Ci ritroviamo, così, ad affrontare figli quindicenni scatenati e genitori ottantenni bisognosi di solidarietà, spendendo tenerezza per i primi e compassione travolgente per i secondi.
Siamo proprio nel “mezzo del cammin di nostra vita”, senza riuscire ad essere veri padri dei nostri figli diventiamo invece padri dei nostri genitori e noi non più figli di nessuno.
E così una generazione convinta che la vita fosse migliore di quella dei nostri padri si ritrova a lavorare per figli che dovranno mantenere per anni a causa della disoccupazione ed aiutare genitori la cui pensione vale sempre meno mentre la salute costa sempre di più.
Mentre i nostri vecchi riuscivano a trasmettere qualcosa perché esisteva il “passato” la generazione degli anni ’60 è costretta a vivere sollecitazioni nuove con ruoli da definire e delusioni da digerire.
Deve abituarsi alla precarietà continua, sia economica che sentimentale perché viviamo solo il presente senza memoria né progetto.
Ci sono delle regole per non essere sbattuti nel recinto degli anziani,
La malattia è accettabile se non allude al degrado: bene le coliti che fanno tanto giovanotto ansioso, male la collezione di by-pass che segnala cedimenti strutturali; spezzarsi un polso va bene, ma devi esserti scontrato con un camion, non va bene se stavi aprendo una scatoletta di cibo per gatti; il colpo di freddo in motorino fa guadagnare punti, anche se in realtà, quell’enfisema lì è cronico e ti segue anche sotto le coperte.
Ma in realtà quando si diventa vecchi?
Le ultime statistiche scientifiche hanno allungato il quadro che Pitagora faceva delle età della vita mentre Aristotele fissava la maturità fisica a 35 anni e quella dell’anima a 49.
Il realtà non c’è un fenomeno particolare che segna il passaggio dalla maturità alla vecchiaia anzi, secondo alcuni biologi la vecchiaia intesa come puro e semplice decadimento non esiste.
Ma questo è difficile da digerire.
“Cambiamo la vita prima che la vita cambi noi” diceva uno slogan della mia generazione. Si, forse eravamo esageratamente ottimisti ma le nuove generazioni lo sono a loro volta?
Adesso c’è il rischio di gestire solo le delusioni.
Abbiamo contribuito a distruggere la politica che ci piaceva tanto e che consideravamo un formidabile strumento per cambiare la società.
E così ci ritroviamo a parlare dell’isola dei famosi per non sentirsi isolati.
La crisi più grave che possa colpire l’essere umano è la perdita della speranza dovuta alla carenza di ideali ed obiettivi.
E questo fa sentire vecchi anche i giovani.
Non è un caso che molte persone di mezza età riscoprano il gusto per l’arte quasi a cercare in essa l’unico vero legame con le proprie radici.
Abbiamo bisogno, come non mai, di conoscere, di visitare, come se rovistassimo in una vecchia valigia per trovare qualcosa che ci possa esser utile per andare avanti nel nostro viaggio.
Alcuni di questa generazione hanno pensato di ingannare il tempo accumulando potere e denaro: Ma molti altri sanno che si tratta solo di illusioni.
Il tempo non si inganna ma si cavalca mantenendo vivi gli ideali, la voglia di cambiare in meglio la società ed i rapporti tra gli uomini.
Dice Lidia Ravera:
I figli del boom demografico degli anni ’60 sono una schiera compatta e smarrita.
Non sono più giovani non sono ancora vecchi.
Non riescono ad immaginare la loro morte, come tutti gli esseri umani.
Non riescono ad immaginare neanche la loro maturità.
E questo accade solo a loro.
No siete tutti comunisti il problema è che se qualcuno è M5S oppure di destra vera a voi non vi garba e rompete le balle… tutto qui!
Caro xzdsada siamo commossi dalla profondità del suo pensiero e la comprendiamo: che vita misera uno che, costretto all’anonimato, si firma xzdsada, con il coraggio da tastiera di Riccardo cuor di coglione!