Sono una persona fortunata; lavorare come educatore in un convitto è un vero privilegio; perché una cosa è insegnare una materia ai ragazzi, tutt’altra è cercare di insegnare loro a vivere, passare giorno e notte con loro, mangiare studiare giocare cazzeggiare con loro. Questa premessa è per raccontare situazioni di vita particolari che mi si sono presentate nel corso del mio lavoro.
Il primo personaggio: un bolognese di 14 anni, capitato in provincia di Arezzo quasi per caso: La madre, una bella donna, bionda, elegante, di classe, sempre gentile nei modi e di educazione superiore, lo aveva spedito da noi forse perché stanca di doversi continuamente occupare di un figlio malaticcio e petulante, pur continuando a seguirlo telefonicamente e con frequenti visite in convitto che, vista la procacità della signora, non lasciavano indifferenti noi educatori maschi.
Un pomeriggio, appena preso servizio, mi ritrovo con alcuni dei convittori, fra i quali il nostro amico, a discorrere con una delle signore che di mattina, i ragazzi a scuola, si occupano delle loro camere. L’operatrice si lamentava coi ragazzi delle pessime condizioni nelle quali lasciavano le loro camerette, parlando, tra l’altro, di lenzuola sporche, al che mi è scattata la solita vecchia battuta: “ragazzi non toccatevi di notte che poi diventate ciechi”. Pronta e spontanea la risposta da parte del ragazzo “mia madre ha un cassetto pieno di vibratori, li usa spesso ma ci vede benissimo” e se ne va senza attendere replica, con noi basiti perché abbiamo intuito che la verità gli era ingenuamente sfuggita di bocca!