Secondo una visione ingegneristica, i ponti si classificano in tre categorie principali: isostatici, ipostatici e iperstatici.
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Isostatici: sono quelli più “essenziali”, con due spalle e una trave. La struttura è determinata esattamente dalle equazioni statiche, senza vincoli in eccesso. In pratica: semplici, diretti, affidabili.
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Ipostatici: qui le cose si complicano un po’. I carichi si distribuiscono su meno vincoli, rendendo la struttura sottodeterminata. Detto all’aretina: “poggiano”, ma non troppo.
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Iperstatici: sono l’evoluzione strutturale del ponte. Hanno vincoli in più, reagiscono meglio a sollecitazioni come torsioni, vento o carichi distribuiti, e richiedono più equazioni per essere risolti. In altre parole, sono tosti, stabili e… servono più calcoli per capirli.
E la sella Gerber? No, non è una malattia da zombie come nel film La sindrome di Gerber (che, per fortuna, non esiste). È quella particolare “spina” su cui si appoggiano le travi per permettere una certa mobilità alla struttura.
In pratica:
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Un ponte con due spalle e una trave è isostatico.
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Se ha pilastri oltre le spalle, diventa ipostatico.
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Se invece compaiono anche impalcature, archi, torri e tiranti… è un iperstatico a tutti gli effetti!
E adesso… i ponti del calendario?
Quelli dipendono da ben altri fattori: il mezzo che abbiamo per spostarci, la temperatura, il meteo, ma soprattutto… la voglia di vivere. Senza contare le variabili impazzite come figli, moglie, cane e – inevitabilmente – suocera.
A proposito, attenzione al virus: no, non quello informatico o pandemico, ma quello sociale… il suocero che non rompe mai… gli zibidei!
Morale: se non sapete risolvere le equazioni, restate a casa. Magari con un bel ponte isostatico tra divano e cucina.