Dopo il Calice — che altro non è se non il gioco in cui un play basso centrale apre sugli esterni alti, disegnando una “V” — possiamo avere la Tartaruga: la falange chiusa degli eserciti romani. In questo modulo si avanza per vie centrali, tramite passaggi corti, creando una fitta ragnatela di gioco.
Ma non è finita: esiste anche il Caratello, un sistema prevalentemente difensivo, in cui i braccetti del centrocampo possono essere utilizati come esterni bassi, quasi dei terzini. È impiegato per contrastare le reazioni avversarie sul nascere e infoltire la difesa in caso di lanci lunghi, sfruttando la rapidità dei due braccetti.
Sembrano trovate bizzarre, ma in certe situazioni — quando si vuole “tenere” il risultato — servono eccome. È un po’ come invecchiare il Vin Santo: richiede pazienza e oculatezza tattica.
Nei corsi per allenatori, sulle vecchie lavagne, venivano disegnati questi moduli:
- Il Calice corrisponde al 4-3-3, con esterni rapidi in attacco e un centravanti che apre spazi.
- La Tartaruga al 4-4-2, solida e compatta.
- Il Caratello al 3-5-2, più prudente e di contenimento.
Esempio: Arezzo 1 – Gubbio 0.
Siamo partiti con il Calice e abbiamo trovato subito il gol su rigore. A quel punto il Gubbio ha cercato di reagire con lanci lunghi centrali per superare il nostro centrocampo, e Guccione ha dovuto fare un lavoro “alla Mawuli”, rimediando anche un’ammonizione. Nel finale, giustamente, Bucchi è passato al Caratello: voleva portare in porto il risultato, e così Tavernelli e Righetti si sono trasformati nei braccetti, essendo i più rapidi nel ripiegare.


