C’è un momento nella storia in cui il tempo sembra fermarsi.
Un uomo cade sotto i colpi dei pugnali.
È Giulio Cesare.
Lo hanno colpito in tanti, ma quando si volta e tra le lame riconosce un volto amato, pare sussurri: “Tu quoque, Brute, fili mi?” — “Anche tu, Bruto, figlio mio?”
Che sia vero o no, che l’abbia detto davvero o che sia solo leggenda, poco importa.
È il simbolo di un conflitto che ci riguarda ancora oggi: quando chi amiamo profondamente ci trafigge nel nome di un’idea, di un principio o di un’altra verità.
È il cuore spezzato della nostra umanità.
Marco Giunio Bruto non era un traditore qualunque. Era il figlio della donna più amata da Cesare, Servilia. Alcuni antichi sospettavano persino che Bruto potesse essere figlio naturale di Cesare. Ma anche senza sangue in comune, tra loro c’era un legame profondo.
Cesare lo aveva perdonato, favorito, elevato.
Lo amava.
Lo stimava.
Eppure, fu proprio Bruto a pugnalare Cesare.
Non per odio.
Non per vendetta.
Ma per qualcosa che oggi chiameremmo dovere verso un ideale. Per lui, la Repubblica era più importante di tutto. Pensava che Cesare stesse diventando un re, un tiranno.
E così, combattuto, dilaniato, decise di uccidere l’uomo che forse amava di più.
Ma cosa c’entra tutto questo con noi, oggi?
La risposta è semplice e amara: accade ancora.
Ogni volta che qualcuno ci ferisce “per il nostro bene”, ogni volta che un amico ci tradisce dicendo di farlo “perché è giusto così”, ogni volta che un figlio volta le spalle a un genitore convinto di doverlo fare per seguire la propria verità, il dramma di Cesare e Bruto si ripete.
Viviamo tempi ambigui, dove i legami affettivi si confondono con gli interessi, le ideologie, le scelte di vita.
Quanti matrimoni si spezzano non per mancanza d’amore, ma per “principi”?
Quanti figli si allontanano dai genitori, o viceversa, perché convinti che sia “necessario” tagliare i ponti per costruire sé stessi?
In nome della libertà, del risveglio, del successo personale… quante volte pugnalano anche noi, quelli che un tempo ci chiamavano “mamma” o “amore”?
Un monologo immaginario di Bruto:
(La notte prima del tradimento)
«Non dormo, e non perché temo il sangue. Dormire mi pare già un tradimento.
Stanotte ucciderò l’uomo che mi ha insegnato a camminare dritto, che ha creduto in me più di mio padre, se pure un padre l’ho avuto.
Mi ha perdonato quando ero dalla parte sbagliata. Mi ha guardato con gli occhi di chi ama.
Ma io sono nato romano. Figlio della Repubblica.
Se non fermo lui, nessuno lo farà. Se non lo fermo io, non sarò più libero.
Ma dimmi, Roma, sarai tu a perdonarmi?
E tu, Cesare, mi guarderai un’ultima volta con quel lampo negli occhi?
Non saprò mai se ho fatto bene. Ma so che domani morirà anche una parte di me.»
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Conclusione: chi è Bruto, oggi?
Bruto potremmo essere noi, quando ci convinciamo che una causa vale più di un legame.
E Cesare potremmo essere noi, quando ci fidiamo dell’amore e non vediamo arrivare il colpo.
La storia non è solo polvere.
A volte è uno specchio.
E in questo specchio, oggi più che mai, vediamo il riflesso di una verità profonda: il confine tra amore e dovere è sottile, e a volte, taglia come un pugnale e fa tanto, tanto male!
Sia ed chi sferra il colpo fatale, sia per chi lo riceve.
A volte, vien da pensare che, siamo proprio, soli, con i nostri fantasmi, in una valle di lacrime.”
S.S.C ~ AI