Secona parte Oceana – Fratelli di pietra e mare
Per anni, avevano dormito nelle profondità della crosta terrestre, considerando la vita organica un esperimento fallito, un rumore di fondo tollerabile.
Ma il “canto” che aveva unito umani e Olytridi, proiettando la coscienza fino al cielo, aveva superato la soglia.
Per i Fundak, l’infezione aveva lasciato la capsula di Petri dell’oceano e minacciava di contaminare l’intero sistema.
L’esperimento era finito. Era ora di sterilizzare il laboratorio.
«Non possiamo parlare loro con le emozioni, e non possiamo combatterli con la forza,» disse Sylas, la rivelazione che si formava nella sua mente.
«Ma se siamo due metà della stessa origine, deve esserci un linguaggio che entrambi comprendiamo.»
«La matematica,» sussurrò Eira, il suo ologramma che brillava di un’intuizione improvvisa.
«La geometria. La struttura fondamentale dell’universo. Loro vedono il nostro amore, la nostra paura, come caos. Dobbiamo mostrargli la matematica dell’amore. La geometria della speranza.»
Nacque un piano audace, quasi folle.
Non avrebbero cantato un inno all’empatia, ma un Canto della Struttura.
Eira divenne il compositore, traducendo i concetti più complessi della coscienza — simbiosi, sacrificio, evoluzione, amore — in pure equazioni, in frattali di luce, in armoniche sismiche.
Miran, usando la tecnologia della Tirannosfera riadattata, costruì degli emettitori di risonanza in grado di far vibrare la crosta terrestre secondo le partiture di Eira.
Asha non scrisse preghiere, ma miti cosmologici basati sulla sezione aurea e sulla sequenza di Fibonacci, storie che narravano l’universo non come un dramma, ma come un’elegante equazione che si svolgeva.
Il culmine fu un’orchestra planetaria.
Sylas e Naeryn fungevano da direttori, le loro menti unite per sincronizzare ogni elemento.
Mentre i Fundak avanzavano, intenti a cristallizzare l’intera fossa delle Marianne, il santuario principale degli Olytridi, il canto iniziò.
Miran attivò gli emettitori.
Un’onda sismica controllata, dolce ma inesorabile, si propagò per tutto il pianeta — non un terremoto distruttivo, ma una vibrazione armonica che parlava il linguaggio della geologia.
Dalle profondità, Rynel e i suoi Cacciatori non scagliarono correnti, ma le modellarono in gigantesche, perfette spirali logaritmiche, manifestazioni fisiche della bellezza matematica.
In superficie, Asha guidò gli umani in canti che non erano parole, ma toni puri le cui frequenze corrispondevano a costanti universali.
Eira, dal suo regno digitale, intrecciò tutto, proiettando nel cielo non i riflessi emotivi degli Olytridi, ma giganteschi e lenti poliedri di luce, le forme platoniche che erano alla base della materia stessa.
I Fundak si fermarono.
Per la prima volta, i loro sei occhi mostrarono qualcosa di diverso dalla fredda analisi: una sorta di risonanza.
Il Canto della Struttura non cercava di convincerli o di toccare il loro cuore inesistente.
Dimostrava loro, nel loro stesso linguaggio, che la vita e la coscienza non erano caos.
Dimostrava che l’amore aveva una sua simmetria, che il sacrificio poteva essere un’equazione elegante, che l’evoluzione era un frattale che si espandeva verso una complessità sempre maggiore.
Kaelus, la mente-guida dei Fundak, discese di fronte a Sylas, che si era esposto sul fondale oceanico protetto da un campo di forza.
Non ci fu un contatto mentale, ma un’interfaccia diretta.
Sylas vide l’universo come lo vedeva Kaelus: una magnifica, fredda, perfetta macchina di causa ed effetto.
E Kaelus, per la prima volta, percepì la coscienza di Sylas non come un rumore, ma come una soluzione inaspettata a un’equazione che non sapeva di aver posto.
«La complessità non è caos,» fu il concetto che si formò, non a parole, ma come una verità geometrica dimostrata.
«L’ordine può emergere dalla vita. Una nuova variabile. Imprevista.»


