Vi sono sorprendenti analogie fra l’assedio di Firenze del 1529‑1530 e l’attuale invasione dell’Ucraina: in entrambi i casi una potenza imperiale cerca di imporre la propria egemonia su uno Stato che difende la propria autonomia.
Il contesto europeo
Carlo V d’Asburgo, sovrano di gran parte dell’Europa e di vasti territori d’oltremare, si scontrava con le ambizioni autonome di Francesco I di Francia. Attraverso i Medici – legati a Papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) – la competizione francese si intrecciava con la politica pontificia. Dopo il Sacco di Roma del 1527 e la prigionia di Clemente in Castel Sant’Angelo, Carlo V, già eletto imperatore del Sacro Romano Impero nel 1519, ottenne la solenne incoronazione a Bologna nel 1530. In cambio doveva però restituire Firenze ai Medici.
Le forze in campo
Nel 1529 un esercito imponente, mai visto fino ad allora nella penisola, mosse verso la “città gigliata”. Tra i comandanti imperiali figuravano Pier Luigi Farnese, i fratelli Colonna, Fabrizio Maramaldo, Valerio Orsini, Pier Maria Rossi di San Secondo, Alfonso Piccolomini e Francesco Todeschini Piccolomini.
Firenze rispose sotto il comando generale di Malatesta IV Baglioni (futuro signore di Perugia). Con lui combattevano Francesco Ferrucci, Giovanni Francesco Capponi, Bernardo Strozzi, Lodovico Guerri e perfino Michelangelo Buonarroti, incaricato di potenziare le fortificazioni.
Una “repubblica assediata”
All’epoca Firenze era una repubblica retta da un Consiglio di magistrati: niente Zelensky, ma un sistema rappresentativo che ostacolava i piani “putiniani” – diremmo oggi – di Carlo V, deciso a reinsediare i Medici per compiacere il pontefice (e rimpinguare le casse imperiali).
Dallo scontro di Gavinana alla resa
Nonostante l’inferiorità numerica, i fiorentini sfruttarono il terreno e, su consiglio di Michelangelo, demolirono le difese deboli del contado per concentrare le forze sulle mura cittadine. Lo scontro decisivo avvenne a Gavinana (3 agosto 1530): l’esercito fiorentino fu quasi annientato e Francesco Ferrucci cadde, ma lo spirito repubblicano non si spense. In segno di sfida, a Firenze si giocò persino una partita di calcio in costume fra i Bianchi di Santo Spirito e i Verdi di Santa Croce mentre i nemici erano già alle porte.
Baglioni: eroe o traditore?
Malatesta Baglioni, bramoso di ottenere la signoria di Perugia (“terre rare”, potremmo dire), trattò in segreto con gli imperiali e rese Firenze senza ulteriori devastazioni. Ricompensato con il potere, morì tuttavia appena un anno dopo, nel 1531, a Bettona, sui Monti Martani. Il giudizio storico su di lui oscilla ancora fra eroismo politico e tradimento interessato.