Verso la fine degli anni ’50, i divertimenti per noi ragazzi di 16 o 17 anni erano semplici ma intensi: il biliardo, qualche partita al calcio balilla o al ping pong nelle parrocchie — che però ormai ci attiravano poco — oppure, il più ambito di tutti, il cinema.
Ad Arezzo c’era un solo grande cinema, il Supercinema, con una peculiarità: i cosiddetti “secondi posti”, cinque file proprio davanti allo schermo. Le prime due file erano sempre vuote: guardare un film da lì significava praticamente fissare il soffitto, che, durante l’estate, si apriva anche.
Mio fratello maggiore, fresco di promozione alla terza liceo classico, aveva ricevuto per l’inizio del nuovo anno scolastico un regalo speciale: un impermeabile di nylon, una vera novità all’epoca. Era azzurro chiaro, con bottoni grigi: una chicca rara e costosa, pagata con grande sacrificio 14.000 lire — l’equivalente di un affitto mensile di un bilocale oggi, circa 400 euro. In un tempo in cui si andava a comprare un etto e mezzo di mortadella alla bettola di via Guadagnoli per appena 50 lire, era un lusso non da poco.
Un pomeriggio, andò con alcuni amici al cinema in via Garibaldi, a metà di Corso Italia. Spese 120 lire per il biglietto dei “secondi posti” e, approfittando delle file davanti vuote, posò il prezioso impermeabile sulla spalliera di una sedia di legno. Ma, immerso nel film, si dimenticò di riprenderlo. Solo dopo qualche giro in centro, quando glielo fecero notare gli amici, si rese conto della dimenticanza. Tornato indietro, l’impermeabile non c’era più.
Mia madre, prima che tornasse mio padre dai mercati agricoli dove lavorava durante la settimana, trovò un capo simile — ma di qualità inferiore — per 6.000 lire, raschiando il fondo delle economie di casa.
Il giorno seguente, con il nuovo impermeabile addosso, mio fratello si recò al Morgana, il bar sotto i Portici dove, al piano superiore, c’erano una ventina di biliardi. Lui, il “genio di casa” — dieci in fisica, quattro nove all’esame di Stato, e in futuro il più giovane laureato in ingegneria elettronica a Pisa, con 110 e lode e abbraccio accademico — decise, per non dimenticarlo di nuovo, di appendere con forza il soprabito all’attaccapanni del salone dei biliardi.
Il risultato? Un buco sotto il bavero posteriore.
Rientrò a casa con la faccia gonfia di rabbia e rimorso. Ma mia madre, che ne sapeva sempre una più degli altri, lo portò da un gommaio in viale Michelangelo, che gli “vulcanizzò” l’impermeabile.
Il capo di seconda scelta ora aveva una piccola cucitura nera sul retro, con una leggera piega… ma mio padre non se ne accorse mai.