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Cachi per la tua salute: tutti i segreti del frutto delle sette virtù

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Oggi mi sento in forma quasi come il dottor Pier Luigi Rossi e così tenterò di rubargli il mestiere di divulgatore onnicomprensivo.
Voglio parlare di un frutto di stagione che può regalarci grandi soddisfazioni per gusto, salute e piacere estetico: il cachi.

 

Il diospyros kaki – detto volgarmente cachi, kaki, loti, ma anche diospero per evitare facili cadute di stile nella coprolalia – è un albero da frutto originario delle aree centro-meridionali della Cina, anche se predilige zone non troppo calde e comunque munite di stagionalità accentuata.
Fu introdotto in Italia nella seconda metà dell’Ottocento e uno dei suoi primi estimatori fu Giuseppe Verdi.

 

 

 

Kaki è un nome di origine giapponese, ma a noi piace molto l’appellativo poetico di “albero delle sette virtù”, ovvero lunga vita, grande ombra, frutti ottimi per l’uomo (e per gli uccelli che li beccano in pieno inverno), legna per il fuoco, belle foglie che concimano, pochi parassiti e splendido foliage autunnale.

 

 

 

Proprio in onore della valenza estetica del cachi, vi propongo questa foto realizzata dal giornalista Enrico Caracciolo che mi ritrae in un dialogo ton sur ton arancio/rosso fuoco tra foglie, frutti e giacca in stoffa di Casentino color becco d’anatra.
Perdonatemi per questo eccesso di autocelebrazione cromatica, ma è un modo per stigmatizzare il fatto che tanti lasciano marcire questo splendido frutto sull’albero e non se ne capisce davvero il motivo.
Si dice sempre che il cachi “stringe”: questo vale solo se consumato non maturo.
Altrimenti l’effetto sarà esattamente contrario.
Quindi mangiateli a colazione, vi aiuteranno contro la stipsi e la ritenzione idrica.
Sono ricchi di potassio, sali minerali e fibre, naturalmente di vitamina A.
Aiutano persino chi soffre di ipertensione.

C’è un problema, però: i cachi vanno colti.
Oramai siamo abituati alla praticità asettica del supermercato, e molti di noi non hanno certo voglia di prendere la scala.
Eppure, con un minimo impegno progettuale, potrete mangiare ottimi cachi da novembre sino a gennaio.
Mi sto riferendo alla raccolta differenziata del frutto, che potete cogliere in due/tre momenti diversi, così da avere le primizie e persino i tardivi.

 

Prendete i frutti sani e poneteli al freddo senza sovrapporli.
Poi, via via, portatene alcuni in un ambiente più caldo in compagnia di mele o pere cotogne.
Esse rilasciano etilene, che velocizza di molto la maturazione del cachi.
Quest’anno ho mangiato il mio primo cachi maturo auto-prodotto il giorno dei Morti, per colorare un po’ la triste nebbia novembrina.

 

Potete utilizzarli anche come frutti “ludici”: qualcuno, vedi esempio, ci gioca a tris.
Se poi avete intenzione di tirare i pomodori marci a qualcuno, fatelo coi cachi mézzi.
Il risultato sarà ineguagliabile.
Purtroppo non sono un virologo, altrimenti vi direi pure che il cachi allontana e previene il Covid.
Abbiamo creduto a tutto, crediamo anche a questa.

 

 

 

 

1 commento

  1. Caro Francesco, perchè chiamare Kaki (singolare Kako)quando in italiano abbiamo il bellissimo, evocativo nome proveniente dal Giardino delle Esperidi DIOSPERO? (Dios Piros) = Mela di Zeus ? E’ un simile degrado linguistico chiamare “Anguria” (parola greca moderna) il nostro Cocomero, dal Latino Cucumis. o chiamare Melone il nostro Popone. Noi – te piò di me – finedicitori ribelliamoci di fronte a questa de-alfabetizzazione che ancora imperversa rendendo così povero quel vocabolario DeVoto Lolii del quale rima ne in uso solo un 20%? Il resto è spesso sostituito dal silenzio o da uno schifoso “inglesaccio” oggi reso ancora più aggressivo dal quel fine-dicitore che è l’ex Presidente TRUMP…

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Francesco Maria Rossi
Francesco Maria Rossi
Giornalista, scrittore, asparagista, Francesco Maria Rossi trova nell'eclettismo la sua più sincera identità. Appassionato di costume e gossip strapaesano, ha scritto con Giovanni Raspini il galateo L'eleganza del rospo (Cairo). Nel 2017 viene inserito come performer nel catalogo del Museo della Follia / Da Goya a Maradona, a cura di Vittorio Sgarbi. Ha promosso Il museo del kitsch, trash and camp e il Museo di Se Stesso. E' convinto che ogni atto mancato sia un discorso riuscito.

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