Ricordo poco, ma nitidamente mi viene in mente quella volta al Principe di Piemonte, quando si stappavano bottiglie di spumante. C’erano Battello Lucioli, Il Ficai, Fausto Bianconi… e anche il mi’ babbo. Avevano appena venduto Ferrario, difensore di 23 anni, alla Lucchese, per 10 milioni di lire. Ma nemmeno quella somma riuscì a risanare le casse dell’Arezzo Calcio, che cominciò un lento declino fino alla retrocessione in Promozione.
Fu in quel periodo che iniziai a seguire — o meglio, mi portarono a vedere — le partite di calcio. Ma, a dirla tutta, ero più interessato a giocare sotto la tribuna tubolare di Varese che a seguire davvero il gioco. Solo in seguito cominciai a capire qualcosa, ai tempi di Maggi, Rossi, Santoni, Ugolini, Scatizzi, Cati, Morelli, e il mitico Lenci di Camaiore, che riuscì persino a piegare le mani del portiere Mattrel dell’Ancona, in una Serie D d’altri tempi.
Poi vennero anche gli “impeccabili” Tassinari e Meroi, noti per non colpire mai di testa…
Il vecchio “Mancini”
Lo stadio Mancini, mezzo bombardato, aveva un muro di cinta in mattoni e una pista che vide passare sia il Giro della Toscana che il Giro del Casentino, con protagonisti del calibro di Bartali, Coppi e Magni. La tribuna principale era scoperta, a sinistra degli spogliatoi. A destra, invece, stava quella in ferro, coperta. La “maratona” non era altro che una gradinata a tre scalini, con posti solo in piedi.
C’erano poi i “portoghesi” sul sovrappasso della ferrovia, proprio accanto al passaggio a livello, e un grande cancello di lamiera a nord per far passare anche i carri dei circhi: ricordo l’Apollo, il Medrano e persino l’Americano.
Sul campo restava sempre segatura, utile in caso di pioggia, e si giocava anche con la neve. La tribuna stampa, in legno grigio, fu poi spostata al nuovo stadio. Fu lì che Mario D’Ascoli iniziò a imparare i rudimenti della critica sportiva, grazie agli insegnamenti del direttore de La Nazione di Arezzo.
Lo stadio Comunale e il nuovo inizio
Nel 1960 partirono i lavori per il nuovo Stadio Comunale, inaugurato il 24 settembre 1961 con uno squallido 0-0 contro lo Spezia in Serie C. Lo stadio si presentava con una bella tribuna coperta, una più bassa semicoperta e una discreta maratona. Intorno, una pista per gli sbandieratori — che, calcisticamente, sembrano non portare molta fortuna — e un muro in cemento: curvo verso San Cornelio, lineare verso la città.
Ma per arrivarci… era un’impresa! Una stradina sterrata piena di buche portava a un piazzale non asfaltato, un vero disastro. Uno “stadio cesso”, per dirla senza troppi giri di parole.
Col tempo però qualcosa è cambiato. Interventi importanti nel 1990, poi il grande salto di qualità per il ritorno in Serie B nel 2003. E per fortuna, il nostro Presidente si è messo “di buzzo buono” per dare alla città uno stadio finalmente degno del suo pubblico.
Speriamo solo di meritarcelo tutti: tifosi, calciatori, e chi continuerà a raccontare il calcio aretino con la stessa passione di chi lo ha vissuto fin dagli anni del vecchio Ferrario.