Oggi voglio raccontarvi una storia personale.
Per alcuni giorni ho ospitato nel mio piccolo alveare un fine intenditore d’arte; una di quelle persone che con la cultura ci vive e la vive.
Ebbene, poco incline all’uso dell’automobile ha preferito raggiungere Arezzo con il più romantico treno.
Ovviamente sono andata a riceverlo in stazione.
Per la verità, il vecchio caro treno, un regionale proveniente dalla capitale, è giunto in orario e così abbiamo avuto modo di iniziare subito un tour cittadino.
Usciti sul lastrico solare di piazza della stazione, il mio ospite, la prima cosa che ha notato è stato il panorama urbico: il rettilineo di via Guido Monaco fin su su al profilo della fiancata del Duomo e relativa guglia.
Della piccola chimera messa lì a ricevere improbabili frotte di turisti non se n’è accorto se non quando da me indicata. Primo flop.
Nei giorni che sono seguiti abbiamo girato in lungo ed il largo il centro storico e apprezzato il suo dedalo di stradine medievali, i laboratori dei pochi artigiani rimasti e finanche le botteghe culinarie che contribuiscono a dare quella leggera patina di città turistica; visitato chiese, un paio di musei (quello d’Arte Medievale e Moderna no perché perennemente chiuso), Casa Vasari e Casa Museo di Ivan Bruschi, in tutti è stato possibile costatare l’immenso patrimonio artistico che custodiscono.
Insieme a lui mi sono potuta beare della bellezza che mi circonda e che il mondo intero ci invidia.
Fiera di tutto ciò non ho potuto fare a meno di pensare alla frase di Carducci: “Basterebbe Arezzo alla Gloria d’Italia”. Già! Secondo flop.
In questi pochi giorni, poi, abbiamo cercato anche materiale informativo che ci raccontasse la città ma, purtroppo, abbiamo trovato poco e di scarso valore senza parlare degli infopoint.
Quello alla stazione chiuso (capito alla stazione), quello alle scale mobili sguarnito così come quello sotto le logge del Vasari. Terzo flop.
Infine, il mio ospite, noto per non avere peli sulla lingua, non si è trattenuto e mi “vomita” quanto bieco e misero provincialismo ha notato.
Certo, non mi ha fatto per nulla piacere ma, ho dovuto dargli ragione soprattutto quando mi fa notare in piazza San Domenico, di fronte alla omonima chiesa, la testa del David tatuata e lì a due passi il Crocefisso di Cimabue, poco indicato e valorizzato.
E mi spiega che la mostra itinerante di cui fa parte la testa del David o il dito di Cattelan posto sul sagrato del Duomo sono poco più di un arredo urbano, mentre il crocefisso è una potenza di incalcolabile valore.
Chi decide di venire a visitare la città non lo fa certo, in questo caso, per Aurum, mostra di Fabio Viale, ma perché vi trova capolavori d’arte di ogni epoca. Quarto flop.
La morale di questa ospitata è che, purtroppo, il valore della città da chiunque venga amministrata non è compreso.
Certo, vanno bene mostre d’arte contemporanea, vanno bene i murales, vanno bene i festival ma, santo Dio, abbiamo una miniera di pregiatissimo contenuto e non ce ne rendiamo conto.
O siamo cechi o siamo davvero tanto tanto ignoranti. Floppone.