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lunedì, Maggio 5, 2025
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Pupo, che originalità

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E’ da una vita che ci sentiamo dire che siamo provinciali.
S’è perso il conto delle volte in cui siamo stati dipinti dispregiativamente, caratterizzati da limitatezza culturale, meschinità di gusto e di giudizio.
E, con riferimento a manifestazioni letterarie, artistiche, culturali, intellettuali, siamo additati a campioni in  ristrettezza di interessi, dovuta a scarsi contatti con centri e ambienti culturalmente più aggiornati e di respiro più universale.

A cominciare a pigiare sul tasto dolente della nostra presunta grettezza congenita fu qualcuno di Alto Gradimento, l’indimenticato della radio e della tv Giandomenico Boncompagni, in arte Gianni, fine dicitore di una delle mortificanti caratteristiche innate sferrate alla nostra città con una frase cult, un luogo – disse il compianto sui suoi natali – dove   non crescono neppure gli alberi.
Eppure,  Arezzo sarebbe divenuta negli anni una delle città più verdi d’Italia. Ma la sentenza di Gianni Buoncompagni, nonostante non reggesse neanche sottoforma di metafora, resse fino al nuovo millennio.

Il XXI secolo si aprì per Arezzo all’insegna di un altro esempio di qualcuno di  più grande e di più moderno di noi, invece messi nella situazione di minorità tipica di chi non vive in una metropoli, tant’ è vero “neanche esisterebbe, senza casello autostradale” sbottò Antonio Cabrini,  venuto nel nostro piccolo mondo ad esordire in amaranto come allenatore, senza un riscontro di successo paragonabile alla popolarità ottenuta come campione del mondo 1982 in maglia azzurra.

Ed arriviamo ad oggi.

Come se Albano Carrisi, in arte Al Bano, diagnosticasse che il Dna pugliese è negato per un’aurea di più aperta universalità, Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, dalle colonne del Corriere di Arezzo, diagnostica la nostra mentalità, il nostro modo di fare, considerandoli tipici di chi vive o è sempre vissuto in provincia, ristretto nella piccola cerchia di una comunità, tipo Ponticino, ad esempio.

Che originalità!

Pupo aggiornasse il repertorio, non fosse altro perché anche noi di Arezzo il provincialismo ce lo siamo dovuti dimenticare, come tutti, da quando le Province vivacchiano in scarsità di risorse e con un sistema elettivo degli amministratori di secondo grado, per cui, se proprio vogliamo parlare dei limiti del provincialismo, discettiamo piuttosto delle impossibilità di aprire cantieri provinciali altrimenti indispensabili. Noi di Arezzo rimpiangiamo il  provincialismo nel campo dell’organizzazione della Sanità e semmai il nostro desiderio consiste in una spasmodica cura che ci eviti non il provincialismo ma Area Vasta.

Se, poi, volessimo fare il punto sul globalismo contrapposto al provincialismo, a disposizione.

Ma siamo sicuri che il lato oscuro del nostro vivere quotidiano derivi dal provincialismo,  fattore anche di amicizia, solidarietà e senso della comunità?

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Felice Cini
Felice Cini
Mi piacerebbe essere Tristano ma sono Felicino, vorrei essere qualcuno ma sono nessuno. Mi piacerebbe raccontare qualcosa di buono ma non ho argomenti. Vorrei un argomento positivo sul mondo che ci circonda ma non mi piace granché ciò che ci circonda. Scrivo su l'Ortica per la mia passione per ciò che non va bene. Mi assomiglia.
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