Molti aretini non la conoscono, e spesso ignorano che via di San Vito si estendeva da San Francesco fino alla zona dove sorgeva la casa del Vasari e la chiesa di San Vito. Un’area già in epoca romana sede di sontuose ville, e che, poco prima di arrivare alla casa del celebre artista, ospitava la piazzetta di Santa Maria Maddalena.
Io lì ci ho vissuto per circa vent’anni, e ne conservo ricordi bellissimi.
In quella piazzetta aveva sede una delle succursali dell’Istituto d’Arte. Un dettaglio particolare: a sorvegliarla c’era una guardia giurata, una donna originaria della valle del Tevere, nota a tutti come “la Polendoni”. Si sedeva con la sua sedia all’angolo tra la piazzetta e via XX Settembre, un tempo chiamata via San Vito. Da lì osservava tutto, vigile e presente.
Ricordo bene Barbara e Simone, i nipoti della Polendoni, che erano bambini quando io abitavo da solo con mio figlio Tommaso al numero 56. A volte venivano a giocare nel nostro piccolo giardino. Una volta, Barbara chiese scherzosamente a mia moglie — appena tornata da Reggio Emilia, dove insegnava — se “scopava con quel testa monda”, riferendosi a me, già calvo all’epoca. “Testa monda” era il soprannome che mi aveva dato la Polendoni, poi cambiato in “testa di gesso” quando mi vide con vari ingessature dovute agli infortuni sportivi.
E come dimenticare Emanuela, una delle ragazze più belle di quegli anni. Un suo servizio fotografico su Playboy fece scalpore in città, e le copie andarono a ruba.
Una famiglia che mi è sempre stata simpatica. Di tanto in tanto rivedo Simone: oggi è un uomo in gamba, come lo erano tutti loro. Ripenso spesso anche a quell’ambiente vivace, e a quelle due donne che, con il loro colorito linguaggio, vendevano oggetti e ornamenti ecclesiastici in una piccola bottega della piazzetta.
Mi manca la voce che risuonava in strada: “Barbera! Barbera! Barberaaa!”.
E mi manca il mio Tommy.
Una via, una famiglia, una vita che non c’è più.