Qualche mese prima aveva stabilito un record: dodici figli. Uno assomigliava sempre al nostro ex presidente del Consiglio, un altro invece non aveva capelli, proprio come me. Le femmine, invece di avere quattro braccia come la dea Kali, avevano dodici capezzoli.
Il colore roseo dei piccoli era di una poesia stupenda, tanto da baciarli sul loro culetto…
Ora il dottore temeva un nuovo record. Arrivò il momento: erano passati 112 giorni da quel succhiello amoroso, quando, distesa su un fianco, fece capolino il primo. Quello, poi eletto, affermò che a Roma si tromba come micchi; seguì il solito a cui regalano sempre l’appartamento e quello della villa. Ma nessuno assomigliava a me, salvo che per la capigliatura.
Poi arrivò il solito presentatore, dipendente dall’Egitto, e tre verginelle destinate a razzolare tra le merde e i campi di erba medica.
Sei… sette… Quando arrivammo al decimo, la mamma aveva preso un’aria diversa e tutto si calmò. Al quattordicesimo, sembrava quasi fosse stata una passeggiata.
La femmina non sapeva come fare: due se li è ingoiati senza attendere un attimo…
Il contadino contò i capezzoli: dodici. E i dodici lattoni erano pronti a prendere il lauto stipendio di latte da quella maiala!