Tra i luoghi sacri più suggestivi dell’Aretino spicca sicuramente quello della Pieve romanica di San Pietro di Romena, edificata a Pratovecchio nella metà del XII secolo, su un preesistente edificio religioso (probabilmente del secolo VIII o IX) i cui resti e alcuni frammenti sono visibili scendendo nel sotto chiesa attraverso una scala posta accanto alla parete destra della chiesa.
Romena mostra al suo interno la classica architettura romanica a tre navate, divise da due file di possenti colonne cilindriche monolitiche collegate longitudinalmente tra loro da cinque arcate.
Tuttavia si narra che l’area su cui sorge fosse un punto di culto molto prima dell’avvento del Cristianesimo, utilizzato per riti pagani che celebravano le forze della natura e antiche divinità.
Uno degli aspetti più intriganti della Pieve di Romena è la presenza di simboli che richiamano la cultura e la spiritualità precristiana; infatti tra le decorazioni si possono osservare figure zoomorfe e motivi vegetali che spesso vengono associati a culti pagani legati alla fertilità e al ciclo della vita.
La rappresentazione di questi simboli ha portato gli studiosi a ipotizzare che i costruttori della Pieve volessero creare un legame tra la vecchia religione e la nuova fede cristiana.
Gli stessi simboli, inseriti nei capitelli e negli architravi, fungono non solo da decorazione ma anche da un messaggio simbolico che invita a una riflessione profonda sulla connessione tra l’uomo e il divino, in senso più ampio di quello strettamente religioso.
Molti visitatori della Pieve di Romena riportano sensazioni di energia benefica intensa e inspiegabile; secondo alcune teorie esoteriche, il luogo sarebbe attraversato da linee energetiche, conosciute come “ley lines”, che connettono vari siti di importanza storica e spirituale in tutta Europa. Queste energie, invisibili ma percepibili, avrebbero il potere di influenzare il benessere psichico e fisico delle persone, rendendo la Pieve un luogo di rigenerazione spirituale.
L’orientamento di questo edificio rispetto ai punti cardinali, non è casuale, ma con la precisa ricerca della luce dell’alba solare all’equinozio, ai solstizi e nei giorni in cui può ricadere la Pasqua.
In questo modo i fasci di luce potevano illuminare la cripta, l’altare e la zona absidale, i luoghi più sacri della chiesa dove la luce rappresentava proprio la presenza tangibile del divino che incontra l’uomo, qualcosa di unico che si materializza in determinati giorni, potenti simboli che invitano alla meditazione e alla riflessione su ciò che siamo e che vogliamo dalla nostra vita.