Il poeta e filosofo Voltaire era particolarmente sensibile all’ammirazione dei giovani, trovando piacere, in un certo senso, nell’essere adulato. Tra i suoi ospiti nel castello di Ferney, ai piedi delle Alpi, accolse Jean-François de La Harpe, un giovane autore emergente che aveva mostrato promettenti capacità di tragediografo con il debutto della sua opera Il Conte di Warwick all’età di soli ventiquattro anni. Tra i due nacque un rapporto di amicizia tanto stretto che La Harpe definiva Voltaire “padre e grand’uomo,” mentre il filosofo lo chiamava affettuosamente “figlio mio.”
Jean-François e sua moglie, di grande bellezza, furono ospiti di Voltaire per diversi anni. Durante questo periodo, il filosofo non solo li accolse con generosità, ma si impegnò anche a correggere alcuni testi del giovane autore. Tuttavia, nel 1768, Voltaire scoprì che un suo manoscritto inedito stava circolando a Parigi senza il suo permesso. Jean-François cercò di giustificarsi, ma l’episodio incrinò irreparabilmente la stima e l’amicizia che Voltaire provava per lui.
A complicare la situazione contribuì Madame Denis, la nipote di Voltaire, che viveva con lui a Ferney e animava il castello con feste e ricevimenti. Fu accusata di aver consegnato il manoscritto a Jean-François. Questo portò a un litigio con lo zio, e Madame Denis lasciò Ferney per tornare a Parigi.
Voltaire, ormai anziano e sempre più solo, si pentì dell’allontanamento della nipote. Dopo mesi di lettere reciproche, la “capinera” – così la chiamava, paragonandola a un uccello che si nasconde e riappare tra i cespugli – fece ritorno a Ferney. Con il suo rientro, la vita del castello si ravvivò: feste, inviti e nuove spese restituirono al “vecchio gufo” la gioia di vivere.