Fino al XVII secolo si credeva nell’esistenza di una “vis naturalis”, una forza misteriosa che avrebbe permesso la generazione spontanea della vita. Tuttavia, nel 1626 ad Arezzo nasce Francesco Redi, figlio di Gregorio e Cecilia Ghinci, destinato a cambiare questa visione. Laureatosi giovanissimo in Medicina e Filosofia a Pisa, Redi lavorò a Roma, Napoli, Bologna, Padova e Venezia prima di tornare in Toscana.
Nel 1668 applicò un rigoroso metodo sperimentale, per di più comparativo, per dimostrare che insetti, lumache e sanguisughe non nascevano spontaneamente. Nel suo esperimento prese otto barattoli di vetro, vi depose carne e li divise in due gruppi: quattro lasciati aperti e quattro chiusi ermeticamente. Osservò che nei barattoli aperti le mosche si posavano sulla carne, deponendovi le uova, dalle quali si sviluppavano le larve e, infine, nuove mosche. Nei barattoli chiusi, invece, non accadeva nulla.
Di fronte alle critiche, che sostenevano che i tappi impedissero il passaggio della “vis naturalis” contenuta nell’aria, Redi ripeté l’esperimento sostituendo i tappi con una garza. Anche in questo caso, le mosche non riuscirono a raggiungere la carne e non si sviluppò alcuna forma di vita. Concludendo che i vermi derivavano dalle uova deposte dalle mosche, Redi confutò l’idea della generazione spontanea.
Lo scienziato terminò la sua carriera alla corte dei Medici a Firenze, dove fu insignito della medaglia d’onore da Cosimo III dopo la pubblicazione di “Bacco in Toscana”, una raccolta di poesie. Tra le sue scoperte, Redi sfatò anche il mito del veleno delle vipere: dimostrò che la pericolosità non risiedeva nel morso in sé, ma nell’ingresso del veleno nel circolo sanguigno. Per prevenire gravi conseguenze, bastava fasciare strettamente la ferita per rallentare la diffusione del veleno.
Redi studiò anche i parassiti umani, distinguendo per esempio il lombrico dall’Ascaris lumbricoides, un nematode umano. Le sue ricerche spaziarono persino sugli insetti e parassiti di animali, come le mosche nasali dei cervi e le zecche delle tigri.
Ma allora, ci si chiede, quale fu la prima forma di vita in assenza di generazione spontanea? Probabilmente un autotrofo, un organismo capace di autogenerarsi con funzioni simili a quelle delle piante. E quindi? Siamo figli di un’alga blu, una cianobatteria appartenente al regno dei protisti! Non figli di “prostituti”, ma di un’alga unicellulare!