Era una sera d’inverno del 1973, alle 22:00, sotto un cielo trapuntato di stelle, aspettavo il mio fidanzatino di allora dietro la vetrina del negozio “Paradiso dei Piccoli” in un paesotto chiamato Bareggio. Come ho già raccontato in un altro articolo pubblicato su L’Ortica, non sono mai stata una persona che beve: sono completamente astemia dalla nascita (bevo solo acqua e limone, tè verde, centrifugati e, occasionalmente, spremute). Non ho mai fumato né provato alcuna sostanza.
Quella sera, mi trovai di fronte a qualcosa di straordinario, qualcosa che non avrei mai immaginato di vivere: un incontro molto, molto ravvicinato con un UFO.
Apparve all’improvviso dalla mia sinistra, zigzagando a velocità supersonica. Aveva una superficie lucida, color canna di fucile, e punteggiata di lucine rosse brillanti. Era il classico UFO che disegnano i bambini, simile a un cappello da prete di una volta. Lo osservavo incredula mentre eseguiva manovre impossibili per la tecnologia dell’epoca. In realtà, credo siano impossibili persino oggi.
Poi accadde qualcosa di ancora più incredibile: il velivolo aprì un cono di luce su di me, bianca ma non abbagliante, che richiuse subito dopo. Probabilmente non ero una preda appetibile, dato che avevo appena diciotto anni. Scomparve zigzagando ancora più velocemente verso la mia destra, salendo in verticale, per poi smaterializzarsi davanti ai miei occhi a circa 500 metri di altezza. Puff! Sparì in un nanosecondo.
Quando il mio fidanzatino mi raggiunse poco dopo, mi disse di aver visto solo un bagliore nel cielo e nulla più. Non ricordo cosa gli raccontai, perché ero esausta, probabilmente bianca come un cencio, come quando prendo spaventi forti. Mi sentivo confusa, quasi paralizzata: all’apertura di quel cono di luce, mi ero sentita come una statua di sale.
Il giorno seguente, con alcuni amici, misurammo più o meno la distanza: quel velivolo si era fermato a circa otto metri da me, librando sospeso nell’aria senza emettere alcun rumore o sibilo.
Un’esperienza che lascia il segno
Quell’esperienza mi ha segnata profondamente per più di cinquant’anni. Il mattino successivo, recandomi al lavoro a Milano nell’edicola della metropolitana rossa, lessi sui giornali titoli a caratteri cubitali che parlavano di avvistamenti nell’hinterland della città.
Nel tempo, ho scoperto che Bareggio, il paese dove vivevo, era stato teatro di numerosi avvistamenti di oggetti non identificati. I miei genitori si erano trasferiti lì da Milano con noi tre figlie negli anni Sessanta, attratti dalla moda di vivere nel verde.
Metà delle persone che ho conosciuto nella mia vita mi ha raccontato di incontri simili, anche con UFO di dimensioni diverse. Tuttavia, nessuno, tra coloro che conosco personalmente, ha avuto un contatto così ravvicinato come il mio. E sì, non fatico a credere a chi parla di rapimenti alieni: dopo ciò che ho vissuto, tutto mi sembra possibile.
L’altra metà di amici e familiari, invece, non ha mai avuto esperienze simili e spesso si dimostra scettica, quando non apertamente incredula.
Siamo davvero soli nell’universo?
Pensare che la Terra sia l’unico luogo abitato in un universo così vasto mi è sempre sembrato limitante. Anche quando gli amici sostengono che siamo gli unici abitanti dell’universo, non posso fare a meno di sorridere. Persino prima di quella notte ero convinta che non fossimo soli, se non altro per una questione di probabilità.
Gli scienziati parlano del principio di mediocrità, che afferma che né la Terra né la vita su di essa sono uniche o speciali. Le condizioni che hanno permesso la vita sul nostro pianeta non sono eccezionali, ma il risultato di processi comuni nell’universo. Se la Terra è abitabile, allora è logico pensare che ci siano altri pianeti con caratteristiche simili dove la vita si è sviluppata o potrebbe svilupparsi.
Con due trilioni di galassie e miliardi di esopianeti situati nelle cosiddette “zone abitabili”, appare sempre più logico immaginare che altrove esistano altre forme di vita. Forse più evolute, forse più primitive, ma comunque parte di quel sistema infinito di cui anche noi facciamo parte.
Questa immensità mi dà un senso di appartenenza. Non siamo isolati, ma frammenti di un mosaico cosmico ancora da scoprire.
Cosa sono davvero gli UFO?
L’UFO che ho visto non può essere spiegato con la tecnologia terrestre degli anni ’70. Le sue manovre sfidavano ogni legge fisica conosciuta. Ancora oggi penso che nessun prototipo possa replicare ciò che ho osservato.
Ma cosa sono realmente gli UFO?
Mi piace pensare che non siano solo velivoli extraterrestri. Forse sono manifestazioni di intelligenze superiori, che si mostrano a noi adattandosi alla nostra capacità di comprenderle. Non semplici mezzi di trasporto, ma messaggeri di un sapere ancora sconosciuto. Forse custodi, forse osservatori silenziosi delle nostre azioni, pronti a intervenire se necessario.
Tutto è connesso
Quella notte del 1973 ha segnato, per me, l’inizio di una nuova consapevolezza: l’universo, la vita, le anime sono parte di una rete immensa, interconnessa e pulsante.
Gli UFO che solcano i nostri cieli non sono necessariamente distanti o incomprensibili. Potrebbero essere un indizio, un invito a guardare oltre, a esplorare il mistero senza paura.
In fondo, forse il nostro compito è proprio questo: continuare a cercare il nostro posto in questa grande rete cosmica, lasciandoci guidare dal desiderio di scoprire ciò che ancora non sappiamo. S.S.C.