Esistono ancora gli sfruttati, malpagati e frustrati.
Come al solito, dopo la bufera torna sempre la “dannata normalità”.
E purtroppo è sempre così.
Dopo la morte di Satnam Singh, la tragedia del caporalato e dei morti sul lavoro è tornata prepotentemente sulle prime pagine, per poi riscomparire fino alla tragedia successiva.
Sono ormai decenni che questo triste problema esiste nel Bel Paese, ma in uno strano e complice gioco delle parti, sia le istituzioni preposte, come Ministero del Lavoro, Prefetture e Questure, sia chi dovrebbe proteggere ed aiutare i lavoratori, ovvero i sindacati, non riescono a intervenire in modo deciso per risolvere definitivamente questo aberrante sistema.
Parliamoci chiaro: in questi anni le norme introdotte dal sistema governativo sono sempre state disattese, i controlli sono minimi e poco efficaci, e le scellerate politiche migratorie portate avanti dalla sinistra buonista hanno garantito una sorta di impunità a cooperative e imprenditori senza scrupoli che sono sempre alla ricerca di manodopera a basso costo.
È stato calcolato che il vergognoso giro di affari riconducibile al lavoro sommerso è di 68 miliardi di euro all’anno, una cifra che ha dell’incredibile.
Le categorie più colpite da questa piaga sociale ed economica sono le badanti, le colf, tutto il settore dell’agricoltura e dell’edilizia.
E ovviamente ad essere sfruttate sono le persone più fragili: cittadini che versano in condizioni estreme di povertà, gli immigrati e le donne.
Al dramma del caporalato si aggiunge il dramma delle morti sul lavoro: al quinto mese del 2024 siamo già alla drammatica cifra di 369 morti bianche, un aumento di oltre 3 punti percentuali sul 2023.
Una vera carneficina.
Nel 1976 il rimpianto Rino Gaetano faceva uscire il brano “Mio fratello è figlio unico” dove nel testo inseriva la frase “perché è convinto che esistono ancora gli sfruttati, malpagati e frustrati”.
Siamo nel 2024. È cambiato qualcosa?