Ormai il seme, concimato dai bombardamenti di Netanyahu, ha attecchito: la violenza tornerà con ogni probabilità. Da quello che emergerà dagli attuali «colloqui» e dai confessionali capiremo se organizzazioni presentate come «di resistenza» torneranno a impadronirsi della Striscia di Gaza nella fase della ricostruzione. È possibile che, approfittando della ricostruzione e costruendo nuovi cunicoli o gallerie — pratiche in passato tollerate o ignorate da alcune ONG e organismi internazionali — si ricrei quel circuito di mercato nero, ricatto alimentare e controllo delle entrate che già esisteva. Hamas, in passato, aveva la gestione di questi meccanismi e il controllo operativo: poteva contare su una falange armata di circa 5.000 uomini, oltre a un ampio reclutamento volontario diffuso nella popolazione — elemento tipico di ogni potere non democratico e di organizzazioni a fini violenti, che si nutrono di spirito di resistenza e di vendetta.
Questo sistema alimenta sfiducia anche tra i Paesi arabi vicini e scarica il peso del conflitto sui soli bambini — futuri orfani che rischiano di diventare la manovalanza di nuove forze estremiste, non pacifiche.
Allo stesso tempo, non posso fare a meno di immaginare progetti di «splendore»: spiagge, porti, alberghi, un’ipotetica versione della Striscia che richiami una mini-Dubai o una Versilia mediorientale — lavoro nella ricostruzione, servizi, attività turistiche. Si potrebbe persino sognare una nuova Las Vegas o qualcosa che ricordi il Libano degli anni Settanta. Ma tutto ciò appare irrealistico: domandatevi perché. Se non sarà un potere criminale a comandare, la conseguenza più probabile sarà il ritorno delle bombe.


