“Quanto è duro il mondo per quelli normali,
che hanno poco amore intorno o troppo sole negli occhiali.”
Così canta Lucio Corsi. E in quella frase c’è tutta la fatica del vivere.
Il Primo Maggio si celebra il lavoro ed è la festa dei lavoratori. Ma per molti, lavorare non è una scelta: è una corsa continua, una maratona ad ostacoli dove vince chi non crolla.
E chi nasce “normale” – senza rendite, senza padri generosi, senza reti di protezione – sa bene cosa significa “vivere la vita”, non solo attraversarla.
I normali sono quelli che devono cavarsela da soli.
Sono quelli che studiano lavorando, che mettono da parte sogni per pagare l’affitto.
Quelli che si sono sentiti dire “non sei abbastanza”, ma non hanno mai mollato.
Che hanno provato a “brillare”, ma poi hanno dovuto abbassare gli occhi, perché la luce costava troppo.
E allora via, nella ruota: criceti moderni con il badge al collo, che vendono le loro ore per mille, duemila euro – se va bene.
Con turni massacranti, contratti fragili, vacanze saltate, salute ignorata.
C’è chi nasce con la strada spianata. E c’è chi, quella strada, deve scavarsela con le mani.
Il mondo è duro per quelli “normali”.
Non hanno rendite, non hanno parenti pronti a salvarli nei momenti bui.
Hanno solo la forza. Quella vera. Quella che non fa rumore.
La forza di chi si rialza ogni giorno. Di chi sopporta. Di chi resta umano.
Questo Primo Maggio non è una festa, deve essere per tutti, sopratutto per i governanti, una riflessione.
Perché la società continua a chiedere tanto a chi ha poco.
E troppo spesso dimentica che chi mantiene in piedi questo Paese, sono proprio loro: i “normali”.
Quelli che non si vantano. Che non rubano. Che non appaiono.
A loro va il mio pensiero. A chi lotta per vivere la vita, e non solo per sopravvivere.
“A chi ha poco amore intorno… e troppo sole negli occhiali”.
S.S.C. ~ AI