Benvenuti nei parchi urbani di Arezzo, dove la natura non si limita a fiorire: straborda. A Villa Severi e alla Marchionna siamo già a quasi 70 cm di altezza d’erba. Il conto alla rovescia è iniziato: manca poco al traguardo simbolico del metro. Forse a quel punto scatterà lo sfalcio. Oppure ci toccherà la supercazzola dei “benefici ecosistemici” condita da un pizzico di retorica green, che fa sempre chic.
Sì, perché oggi l’erba alta non è trascuratezza, ma un atto di rivoluzionaria lungimiranza. Non tagliarla significa salvare api, farfalle e forse anche l’unicorno urbano che pascola tra i papaveri. Ce lo dicono con toni ispirati: “È essenziale riconoscere e celebrare la bellezza naturale e spontanea dei fiori selvatici”. Una frase che sembra uscita da un bignami di poesia ecologista, peccato che intanto chi porta a spasso il cane debba infilarsi in una giungla degna dell’Amazzonia.
E mentre il nostro cocker sparisce dietro a una spiga di gramigna alta come un bambino di sei anni, il vero mistero diventa: dove sono finite le sue deiezioni? Raccoglierle ormai è una caccia al tesoro – senza tesoro.
L’obiettivo dichiarato è “aumentare la biodiversità”. Quello non dichiarato, ma molto più evidente, è: risparmiare sul taglio del verde. Che sia per motivi ambientali o economici, resta il fatto che l’erba cresce, i problemi pure. Camminare in certi tratti è un safari, e i bambini giocano dove possono: spesso nell’asfalto, che almeno è visibile.
Ma tranquilli, ci rassicurano: i prati non falciati “offrono rifugio a una moltitudine di specie di insetti”. E pure a qualche zecca, aggiungiamo noi, ma non stiamo a fare i cinici. La prossima volta che inciampiamo in una buca nascosta dalla vegetazione, pensiamo positivo: abbiamo appena favorito un corridoio ecologico.
E allora evviva l’erba alta, simbolo della nuova Arezzo “wild & green”. Che sia incuria o strategia, la linea è sottile – un po’ come il confine tra natura e disservizio.