Durante i miei anni delle scuole medie, il sabato d’inverno, dopo aver finito i compiti, preparavo tutto il necessario per sciare: sci, racchette e qualche cambio, che sistemavo nella mia cartella. Già vestito da sciatore, prendevo il trenino che mi portava alla stazione di Pratovecchio/Stia.
Partivo alle 17:30, quando il giorno stava ormai cedendo alla sera. In quella carrozza dai sedili di legno trovavo sempre compagnia: molte erano donne di servizio, altre commesse, e pochi uomini, salvo qualche studente delle superiori.
Di fronte a me, una donna di circa 40 anni catturò la mia attenzione. Aveva capelli castani, un bel viso e occhi di un grigio scuro che sembravano ruotare continuamente. Ricambiò il mio sguardo curioso. Quando scese alla fermata di Rassina, rimasi solo nella carrozza, avvolto nel freddo: i vetri erano appannati, e facevo fatica a capire dove fossimo. Solo il passaggio a livello prima dell’uscita da Rassina e le luci della fabbrica Sacci al Corsalone mi davano qualche riferimento.
Finalmente arrivai a destinazione, talvolta giusto in tempo per prendere l’autobus che saliva al Passo della Calla. Da lì, proseguivo a piedi fino all’albergo, immerso nel buio, ma con la neve che illuminava la strada come fosse un lampione naturale.
A volte ero accompagnato da mia madre e mio fratello, ma spesso andavo da solo: tale era la mia passione per lo sci. Appena arrivato, Sofia, la cuoca dell’albergo, chiamava mia madre con il telefono a scatti per avvisarla che ero arrivato sano e salvo. Sofia era una donna robusta ma non grassa, con occhi azzurri e capelli biondi raccolti in una crocchia. I suoi sughi erano eccezionali, e il suo seno prosperoso mi trasmetteva una strana tranquillità: sapevo che, in caso di bisogno, avrei potuto contare su di lei.
La mattina dopo, già da due ore stavo sciando quando arrivarono i pullman da Forlì, Ravenna e Cesena. Tuttavia, quelli della Casa dello Sport di Arezzo e le auto non c’erano: una frana sopra Vitrignesi aveva interrotto la strada. Continuai a sciare fino al giovedì, quando ripresi il lungo viaggio di ritorno.
Alla stazione di Arezzo mi aspettavano mia madre e mio fratello. Mio padre, tornato il venerdì dal giro dei mercati dei cereali in Italia, mi vietò di tornare a sciare da solo: era stato in pensiero per me per tutti quei giorni. Io, però, mi ero divertito tantissimo!
Avevo 13 anni, e solo grazie all’enciclopedia UTET scoprii che la donna incontrata sul treno soffriva di una forma di sclerosi multipla in fase avanzata.