Gigetto, all’anagrafe Francesco Romano di Città di Castello, condannato all’ergastolo per rapina e per l’omicidio di un impresario della costruenda strada ferrata in zona di Pieve a Maiano, era rinchiuso nel carcere di Arezzo. Corrompendo un guardiano, riuscì a fuggire insieme al nostro Gnicche e ad altri quattro, compreso il Melino, oltre al guardiano corrotto.
Il Melino, condannato per l’uccisione di un parroco, si ripresentò spontaneamente, abbandonando la compagnia degli evasi. Anche il guardiano successivamente si presentò, adducendo che era stato minacciato e condotto a forza dai fuggitivi, ma fu poi processato e condannato.
Il meglio, però, fu Gnicche, che scrisse al Presidente della Corte d’Assise, dove si doveva tenere il suo processo, giustificandosi per la sua assenza al dibattimento:
“Urgenti bisogni mi chiamano altrove, per cui prevedo di non poter essere costì. Di poi sappia che l’aria di quel quartiere che mi è stato assegnato (il carcere) non si confaceva alla mia salute. Devotissimo servo, Gnicche.”
Compirono, dicono le cronache, altre rapine insieme, senza escludere anche alterchi tra i due capi, Gigetto e Gnicche. Infatti, l’aretino accusò il castellano di essersi fatto pigro, “accasciato e pingue”, in carcere!
Gnicche e la perpetua: la vera storia
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