Dodo, Manuel e Nang Pa
Dinanzi a Dodo e Manuel si presentò un uomo con un lungo pizzo e con dei capelli bianchi raccolti a crocchia e delle sopracciglia che gli coprivano gli occhi, vestito di un saio arancione scalzo sopra un alone di aria condensata, una nuvoletta di nebbia, che gli permetteva di restare sospeso e di muoversi dove voleva andare.
“Chi sei tu!?” domandò Manuel, mentre Dodo si avvicinò allo sconosciuto come se sentisse una attrazione familiare.
“Sono un monaco tibetano, nang. pa, come ci chiamano, o monaci della foresta… e tu chi sei!?”
Dodo, rivoltosi a Manuel: “Vedi che sentivo il richiamo della foresta…!!”
Manuel: “Sergente maggiore Manuel de Las Palmas e lui…!”
Il nang. pa, interrompendo Manuel: “E il piccolo brachiosauro che aspettavamo!!… Ora seguitemi che vi condurrò in cima al cratere, seguitemi!”Continua a leggere
Dodo, accarezzato dal monaco, si pose al suo fianco arrampicandosi sul sentiero che portava alla sommità, segnalato da bandieroni multicolori, tanto che Manuel domandò il perché.
Il monaco: “Sono i colori della natura, i colori del mare, del fuoco, degli alberi… e noi difendiamo la natura!”
Manuel: “Che siete, di ultima generazione!?”
“NO!!” rispose il monaco e proseguì: “Le ultime generazioni noi difendiamo e vedrete cose nel cratere che mai avete visto, forse solo nei film!”
“Chi c’è, il capitano Nemo!? O King Kong!?” domandò sarcastico il sergente maggiore.
Dodo: “Sento un puzzo familiare!”
Manuel: “Sarà Godzilla!?”
Il monaco: “Aspettate, aspettate e seguitemi!!”
Dodo e Dida sull’isola misteriosa
Manuel, Dodo condotti dal Monaco, raggiunta la cresta del cratere, e volgendo lo sguardo giù, verso l’immensa vallata piena di alberi, videro ciò per cui il nang. pa diceva che si sarebbero meravigliati.
Spuntavano ogni tanto tra gli alberi di quella immensa foresta teste dai colli lunghi di brachiosauri giganteschi. Tramite un apposito montacarichi o scendicarichi, scesero nell’immensa vallata dove si presentarono una decina di esemplari e una piccola, per modo di dire, brachiosaura.
Dodo fece da interprete in quanto avevano imparato un dialetto di antichi indigeni che avevano fatto da custodi a questa colonia sopravvissuta fino all’arrivo dal Monaco tibetano, il cui vero nome era Nuvvelo, prima della sua conversione.Continua a leggere
Manuel chiese a Dodo cosa dicevano, in quanto già Nuvvelo sapeva la problematica delle loro richieste, e Dodo rispose: “Dicono che mi dovrò, quando sarò un po’ più grande, accoppiare con quella città. Loro si sono salvati in quest’isola e dal cratere, che li ha coperti dalle radiazioni provocate dal grande meteorite. L’isola, prima attaccata all’America del Sud, con la migrazione dei continenti si è staccata ed è rimasta nascosta e sconosciuta ai più. Solo una popolazione di indigeni e i monaci tibetani ne sanno l’esistenza. La loro continua progenie consanguinea ha provocato una sterilità nei maschi, ecco perché io sono la soluzione della loro esistenza, come specie!”
Manuel: “Ma tutto questo ti hanno detto con una sola emanazione gutturale!?”
Dodo: “Certo, era un ruttochiavetta, come si usa con i computer! E poi, sergente, mettiti qualcosa addosso, sei rimasto in mutande da quando ti sei appartato con quella città alla Jolla!!”
Il nang. pa porse allora un saio arancione al mutandato Manuel e domandò a Dodo se era contento.
Dodo: “Il viso di quella città è un po’ a culo, ma in compenso ha una coda che mi tira, speriamo che cresca bene!”
Manuel: “Sono contento per te, caro Dodo, e a lei chiamala Dida così torna con il titolo della puntantina e vivrete tutti felici e contenti!!”