Guardiamo le vecchie fotografie dei nostri avi, quelle immagini un po’ sbiadite di volti seri, di famiglie riunite davanti a case modeste o lussuose, in posa per celebrare chissà quale traguardo. E la domanda che spesso ci facciamo, (almeno io), è sempre la stessa: “Ma saranno stati felici?” Avranno mai provato quella gioia vera, che si nasconde nelle pieghe delle giornate ordinarie, oppure saranno stati risucchiati nel vortice di una vita frenetica, schiacciati da un destino più forte di loro? È come se ci guardassero attraverso il tempo, e il nostro sguardo cerca di captare una scintilla di vita nelle loro espressioni.
L’idea che il nostro passaggio terreno si riduca, infine, a una fotografia sbiadita ci mette di fronte alla fragilità della nostra esistenza. Siamo tutti destinati a diventare solo un ricordo, un’immagine appesa a un muro, o in una nostra app, o nascosta in un album impolverato per qualche decennio o poco più. Ma cosa rimarrà, di noi, oltre quella posa catturata? Resterà il sorriso o la fatica di vivere in una società che, dagli anni Cinquanta in poi, dei burattinai in affari, sono riusciti con la loro pubblicità commerciale a ottenebrarci il cervello, canto delle sirene, per il fine deplorevole di farci consumare sempre di più e produrre, produrre, e spendere, spendere sempre di più e accumulare, accumulare quasi fosse l’unica via per esistere?
Questa epoca moderna ci ha insegnato a rincorrere l’effimero, e forse è così che anche noi, fra centocinquant’anni, saremo ricordati: come una generazione impegnata a “fare”, sempre e solo impegnata ad accumulare, a riempire ogni spazio della propria vita di cose, a volte proprio inutili, di obiettivi che sembrano, al momento, fondamentali, che eppure alla nostra dipartita, scivoleranno via come sabbia tra le nostre dita. S.S.C.
Eppure, anche se guardiamo ai grandi monumenti e alle opere storiche, ci accorgiamo che nemmeno le piramidi d’Egitto sono eterne. Solo pochi individui si stagliano nitidi nell’immortalità della memoria collettiva: Leonardo Da Vinci, Dante Alighieri, Giulio Cesare, Sabin, e qualche papa. Uomini e donne che hanno lasciato un segno indelebile, che ha resistito all’usura del tempo. Ma per la maggior parte di noi, destinati a un’esistenza ordinaria, il ricordo si dissolve in fretta: nel giro di pochi decenni, persino i politici di oggi, quelli che sembrano tanto influenti, saranno nomi svaniti, figure sbiadite nel passato.
Forse, la risposta è abbandonare l’ingranaggio del consumismo, smettere di pensare che la nostra realizzazione passi soltanto attraverso ciò che accumuliamo o produciamo. Riscoprire, piuttosto, la bellezza dei rapporti, la connessione autentica con gli altri, fare la differenza nella vita di qualcuno tendendogli una mano, vivere in modo tale che, nel ricordarci, le generazioni future possano trovare un esempio, un invito a vivere in armonia con ciò che conta veramente.
Perché è così che vorremmo essere ricordati: come persone che hanno saputo amare e costruire qualcosa di duraturo, ben oltre le mode, gli oggetti e i desideri imposti. S.S.C.