Ci sono storie che sembrano scritte per ricordarci che la realtà supera sempre la fantasia. Questa volta il protagonista è un paziente che, per un presunto tumore, si è visto amputare il pene. Peccato però che il tumore non c’era. Eh già, una malattia invisibile, tanto quanto, pare, la precisione della diagnosi. Dopo un’interminabile battaglia legale e quattro anni di riflessione sul valore del bisturi, il paziente e l’Asl sono giunti a un accordo (ovviamente segretissimo) che mette fine alla tragicommedia.
Andiamo con ordine. Era il 2018 quando il paziente viene sottoposto a un intervento chirurgico “demolitivo” per un tumore al pene, diagnosticato – o meglio, presunto – con un’approssimazione degna di un sensitivo. Nessuno, infatti, si è disturbato a fare una biopsia, forse convinti che un po’ di intuito medico bastasse. Risultato? Un’amputazione, con tanto di perdita della capacità di procreare e notevoli difficoltà anche nella semplice minzione. Solo dopo, come in ogni thriller che si rispetti, arriva la “scoperta” che il vero problema non era un tumore, ma la sifilide, una malattia tranquillamente curabile con antibiotici.
Naturalmente, la notizia dell’amputazione “a vuoto” fa scalpore e finisce in tribunale. Ma qui, arriva il colpo di scena: quando il paziente si decide a denunciare il fatto, erano già scaduti i termini per farlo. Un piccolo, ironico dettaglio che permette al chirurgo di evitare il processo per lesioni gravissime e di uscire illeso dall’incidente, pronto a sostenere che l’intervento era stato deciso con il sostegno dei colleghi e seguendo i protocolli.
Sfumata la possibilità di un processo penale, il paziente rimane solo con l’azione civile, lamentando un “errore diagnostico” che gli è costato il più alto prezzo possibile. Dopo anni di battaglie, il caso si chiude con una somma risarcitoria, anche se decisamente più bassa di quanto richiesto inizialmente, e il vincolo di riservatezza cala come una tenda nera sui dettagli. Forse meglio così: certi incidenti di percorso non meritano ulteriori riflettori.
E quindi la morale? Che ogni tanto, forse, basterebbe un po’ di sana prudenza medica – per esempio, un’analisi accurata prima di brandire il bisturi. Ma si sa, fidarsi è bene, non fidarsi e fare una biopsia è meglio.