I reperti della nostra città etrusca, una delle 12 lucumonie della Lega etrusca a nord della primitiva Roma, sono relativamente pochi.
La Minerva e la Chimera, portate via dai fiorentini, sono tra i pochi resti rimasti.
Esclusi le mura e il teatro di Castelsecco, pezzi di colonne e qualche masso oltre ai piccoli bronzetti, non ci sono molti reperti, in quanto Silla, e poi 1500 anni dopo Cosimo, li hanno distrutti per vendetta o seppelliti e/o portati via per invidia!
Arezzo etrusca per chi non sa
Dal 91 all’88 a.C. ci fu la guerra civile tra Silla e Mario.
Poiché la città di Arezzo aveva finanziato Mario con denaro e armi, Silla, dopo la sconfitta di Mario, mise a ferro e fuoco la città aretina, distruggendo gran parte della storia etrusca e romana della nostra città (vendetta).Continua a leggere
Poi, 1600 anni dopo, Cosimo de’ Medici fece abbattere molte torri medievali e seppellì il vecchio foro romano, dove ora si trova il Prato, per avere una migliore visuale dalla Fortezza e controllare tutta la città. Invidia e dominio di quel “gottoso” fiorentino che, durante gli scavi per riempire la Rocca di controllo presso la porta di San Lorentino, fece portare la Chimera, ritrovata, a Firenze, così come, 12 anni prima, la Minerva, ritrovata nella villa romana sotto la chiesa di San Lorenzo durante la costruzione di un pozzo. Questi sono solo i reperti più noti.
Cosimo, come tutti i guelfi della città gigliata, soffrivano per l’importanza di Arezzo in epoca etrusca e romana (Tito Livio scrive di 100 mila abitanti nel I secolo a.C., una cinta muraria alta 14 metri e larga 4, sul cui tracciato furono costruite le mura medicee, più per renderla prigioniera che per proteggerla).
Aristofane: il più grande poeta lirico della commedia antica
La sua opera più importante fu “Gli Uccelli”, un’esaltazione della vita naturale, di cui, nel periodo “covidiano”, ho realizzato una breve parodia, inserita in un contesto di quell’anno, in modo infimo e miserevole.
Aristofane nacque nei dintorni di Atene nel 445 a.C. e scrisse circa 44 opere, di cui solo 11 sono arrivate fino a noi. Al liceo ne ho tradotte diverse parti e agli esami di stato portavamo proprio “Gli Uccelli”.Continua a leggere
Le sue opere giovanili risalgono al periodo di decadenza della politica e del potere di Atene. Dopo la sconfitta di Atene da parte di Sparta e la successiva restaurazione della libertà democratica, l’ironia e la satira politica si attenuarono, mentre le sue opere si orientarono verso una comicità caratterizzata da un’oscenità caricaturale di personaggi e situazioni.
Le prime opere giovanili, come “Gli Acarnesi” (425 a.C.), sono commedie contro la guerra. Il protagonista, Diceopoli, riesce a concludere una pace personale con gli spartani.
Da notare la collocazione del coro, diviso in due semicori, posti ai lati ed esposti più in alto del palco, che si esprimono uno a favore e l’altro contro la pace.
In “I Cavalieri” (424 a.C.), il vecchio Demo, che rappresenta il popolo, senza più vita apparente e cognizione, è oppresso dal servo Paflagone, ma viene liberato da un produttore di salsicce con l’aiuto dei cavalieri.
Demo ringiovanisce miracolosamente e recupera la capacità di intendere e volere.
In “Le Nuvole”, Strepsiade, vecchio e avaro contadino, ha un figlio, Filippide, oberato dai debiti per le scommesse alle corse dei cavalli. Il contadino si reca alla scuola di Socrate, dove si discute del salto delle pulci e del suono delle zanzare.
Ritorna a casa e stimola la curiosità del figlio a frequentare anche lui questa scuola per difendersi dalle cause dei creditori.
Filippide arriva mentre si discute del ragionamento giusto e ingiusto, con Socrate sospeso in una cesta che osserva le nuvole, giudici e coro delle discussioni dialettiche e filosofiche.
Il ragionamento ingiusto vince e Filippide, dopo gli insegnamenti al “pensatoio” di Socrate, vince due cause ma poi picchia il padre, dimostrando che è giusto farlo.