Le foreste casentinesi, magnifiche e intrise di mistero, furono d’ispirazione per Dante e continuano a nutrire leggende. Si racconta che nel Seicento una frana formò il laghetto della Gorga Nera, vicino alla fornace di Marena, lungo il Fosso del Diavolo. Da quelle acque sarebbe emerso un essere dal corpo serpentino – lungo e massiccio – con testa d’uccello, alito velenoso e occhi rossi come brace.
Un’altra frana, poco sotto il Passo della Calla sul versante toscano, avrebbe liberato da una caverna mostri e streghe; il punto si trova lungo l’antica strada sterrata che precede la Fonte di Calcedonia. Già gli Etruschi attribuivano a questi luoghi un’aura sacra: nel Lago degli Idoli (laghetto Ciliegeta) gettavano ex‑voto per ingraziarsi le divinità, e gli archeologi vi hanno rinvenuto reperti persino anteriori all’epoca etrusca.
Negli anni Sessanta, nelle notti invernali, il leggendario custode del rifugio CAI della Burraia, “Beppe Sodo”, mi accompagnava a nutrire una vecchia lupa: ogni cosa appariva magica, anche i serpenti in amore che sibilavano avvolti l’uno all’altro e sembravano fosforescenti. Non provavo paura… finché non accadde un fatto diverso.
In un afoso giugno, quattordicenne, percorrevo la strada sterrata che dall’albergo sale al Passo per far visita agli amici Tassinari al Granduca di Campigna. Un fruscio tra le foglie attirò la mia attenzione: un serpente grosso come un tubo d’irrigazione, lungo oltre quattro metri e mezzo, avanzava parallelo alla via, sul greppo alla mia destra. La testa, eretta per quasi un metro, era grande quanto una vanga. Restai immobile a osservarlo, arretrando con cautela; poi diedi le spalle al mostro e corsi trafelato all’albergo, dove chiesi lumi a Mario, il tuttofare che d’inverno gestiva lo skilift e d’estate il motore diesel per la luce.
Nessuno seppe darmi spiegazioni. Solo Beppe Sodo parlava del Pitone, e anni dopo anche un ingegnere di Talla confermò la storia. Una sola certezza: la creatura che vidi io non aveva la testa d’uccello!