Ieri mattina, durante il solito giro nell’Arezzo alta, in mezzo a stuole di turisti italiani e stranieri, ci siamo imbattuti in una comitiva di una trentina di persone. La guida spiegava loro le varie storie legate alla colonna gobba dell’abside di Santa Maria della Pieve, vista da Piazza Vasari.
Nel secondo ordine delle colonne dell’abside, la quinta colonna presenta un capitello con una testa di bue, ed è storta — o, per meglio dire, piegata.
Una delle tante storie racconta che ogni colonna rappresentasse un monaco del vicino monastero esistente all’epoca della costruzione, e che uno di essi fosse gobbo.
Altre versioni dicono invece che lo scalpellino si trovò a lavorare una pietra non perfettamente dritta e fu costretto a scolpirla piegata.
Ma io lo so! Me lo disse monsignor Tafi…
L’intera abside fu restaurata, e la colonna “storta” fu ripristinata esattamente com’era originariamente: “la gobba è volutamente gobba”.
È determinata dal principio che la perfezione in un’opera d’arte si manifesta proprio in un’unica imperfezione. Come a dire che la vera perfezione appartiene solo al Creatore.
Lo scultore, vedendo la bellezza complessiva del progetto, sentì il bisogno di introdurre un dettaglio volutamente imperfetto.
Dicono che Michelangelo colpì il Mosè perché non parlava… Ma forse fu proprio il fatto che non parlasse a rendere l’opera perfetta nella sua imperfezione.