Quando avevo due anni, seguivo mio fratello maggiore per circa dieci metri lungo Via Crispi, attraversando le dune di terra e erba che si trovavano dove oggi c’è il negozio di edilizia acrobatica.
“Torni a casa, vai!” mi diceva mio fratello, che aveva cinque anni. Lui era con i suoi amici e coetanei, e andavano a caccia di lucertole al vecchio muro che separava l’anfiteatro dal giardino della casa in costruzione, una casa a due piani con soffitta, appartenente alla famiglia di “Puzzino”.
Puzzino era anche un compagno di scuola di mio fratello; facevano la prima classe anticipata alla Caserma Ceccherelli in via Garibaldi, prima di Piazza San Giusto.
All’epoca, il parco dell’anfiteatro era chiuso, e San Bernardo, all’ingresso del Museo Archeologico, era stato bombardato. Restava solo una parte di muro azzurro con le stelle…
Io facevo finta di tornare a casa, ma, appena entrati in Via Guadagnoli, poco prima della bettola degli operai del Fabbricone, salivo le scale della casa di Puzzino (che, per inciso, era noto per le sue scorregge puzzolenti). La casa era uno scheletro: la porta era sbarrata da assi di legno provvisorie, che lasciavano uno spazio sufficiente per noi ragazzi. Le scale erano in cemento, senza balaustra, e c’erano solo le colonne portanti e i muri esterni con le sagome delle finestre murate.
Salivo fino alle soffitte, dove Puzzino e i suoi amici avevano il loro laboratorio per dissezionare serpenti, lucertole e ogni tipo di scarafaggio.
Mamma, quando si accorse che non ero più nell’orto con gli altri, chiamava me e mio fratello disperata. Mi avevano lanciato con il paracadute, usando due ombrelli aperti, dalla terrazza nell’orto. Erano due futuri ingegneri…
Quando mio fratello mi vide arrivare nelle soffitte, voleva rimproverarmi, ma, per non preoccupare troppo mamma, mi fece affacciare a una feritoia. Io la tranquillizzai urlando: “Sono qui!” ma lei non riusciva a vedermi e non capiva dove fossi. Sentiva la voce, ma non riusciva a vedermi.
I ragazzi mi cacciarono e mi obbligarono a tornare a casa, cosa che feci, camminando lungo il muro delle scale per paura di cadere. Tornai a casa, dove prima toccò a me, poi anche a mio fratello, essere rimproverati.
Che esperimenti!
In Via Crispi c’erano solo tre auto: il Topolino del maestro Montanini, una Giardinetta dell’Avvocato Rossi e quella del padre di Maurizio. E in fondo a via Crispi, l’asfalto finiva.