Non si trattava di un tram né di un treno, ma del voltaggio della corrente elettrica: il 125. In quegli anni, le superpile con linguette di rame – una più lunga e una più corta – erano ancora troppo costose, e così ogni casa si affidava a un assortimento di candele ben organizzato, spesso corredato da un elegante portacandele con un ricciolo per il dito medio, da bilanciare premendo con il pollice.
Ad ottobre, iniziavamo a raccogliere cera dai candelabri delle chiese nei dintorni, sempre con il permesso dei parroci, ovviamente. Le chiese più frequentate diventavano le nostre miniere preferite. Tornavamo a casa con una scatola da scarpe piena di cera, pronti a trasformarla in cerini per il giorno dei morti.
La preparazione richiedeva ingegno: costruivamo fermastoppini con pezzettini di latta ricavata dalle scatolette di tonno o dalle “bombette”. E sì, le bombette erano un’altra avventura: piccoli proiettili costruiti con carburo e sputo, ma raccontarvi tutto sarebbe troppo lungo!
Tra esperimenti con le colorazioni – blu, rosso, bianco – e qualche inevitabile bruciatura, producevamo artigianalmente un assortimento di cerini. Con il nostro scatolone pieno, scendevamo in strada a vendere. Era un lavoro di squadra, misto di creatività, abilità manuale e il brivido di qualche incidente. Una piccola impresa che illuminava le serate senza corrente e alimentava ricordi indimenticabili.