Ad Arezzo, città d’arte con secoli di storia sulle spalle e un patrimonio culturale invidiabile, sembra che la parola d’ordine sia una sola: letargo. E no, non è una metafora stagionale, ma una constatazione amara di fronte a un avviso che grida al mondo, in più lingue, quanto poco valga visitare la città nei primi mesi dell’anno.
«Arezzo Gran Tour, ci rivediamo in primavera – See you again in spring». Questo il messaggio che campeggia su un cartello dell’iniziativa “Arezzo Gran Tour”. Non si tratta di un messaggio scherzoso, ma di una vera e propria resa incondizionata. Cari turisti, prendete nota: Arezzo, in inverno, si spegne. Non ci sono eventi, non c’è vita, non c’è nulla da vedere. È come se ci stessero dicendo: “Passate oltre, non disturbate”.
Più antituristico di così, si muore. Perché questa non è solo una figuraccia. Questo è un suicidio d’immagine. Come se Arezzo, invece di essere un gioiello incastonato nel cuore della Toscana, fosse Lamporecchio (con tutto il rispetto per Lamporecchio, però non mi risulta che sia nota per la sua vocazione turistica).
Arezzo, dove ogni angolo trasuda arte, cultura, storia e bellezza. Dove Piero della Francesca ha lasciato il suo segno immortale nella Leggenda della Vera Croce. Dove si potrebbe raccontare, con orgoglio, la magnificenza di una città che ha dato i natali a Guido Monaco, Giorgio Vasari, Francesco Petrarca. Dove, insomma, c’è tanto di quel potenziale che ignorarlo è quasi un crimine.
Eppure, in barba a tutto questo, si sceglie di alzare bandiera bianca da gennaio a marzo. Niente iniziative, niente promozioni, niente idee per incentivare il turismo invernale. Solo un malinconico arrivederci alla primavera, come se il freddo avesse congelato anche la capacità di pensare.
Le città d’arte che si rispettino fanno esattamente il contrario. Firenze, Siena, Lucca, per non parlare di mete come Verona o Perugia, sfruttano ogni mese dell’anno per proporre qualcosa: mostre, eventi, mercatini, rassegne culturali. L’idea è chiara: il turismo non è stagionale, è permanente. Basta un pizzico di creatività e volontà per trasformare anche i mesi più “morti” in un’opportunità. Ad Arezzo, invece, si preferisce accendere il cartello del “torno subito”.
È un peccato. Perché Arezzo ha tutto ciò che serve per essere una meta turistica vivace tutto l’anno. Basta volerlo. Ma sembra che qui la volontà manchi, sopraffatta da un torpore istituzionale che si fa beffe delle possibilità. E intanto, i turisti vanno altrove.
Se proprio dobbiamo affiggere un cartello, almeno facciamolo con stile: «Arezzo chiude per ferie». Un’amara ironia che però rappresenterebbe almeno una presa di coscienza. Oppure, ancora meglio, rimbocchiamoci le maniche e cambiamo prospettiva. C’è un intero patrimonio da valorizzare, c’è una reputazione da difendere. Arezzo merita di essere vissuta, non messa in pausa. A gennaio, febbraio, marzo e ogni altro giorno dell’anno.
Il messaggio per il futuro dovrebbe essere questo: Arezzo è sempre aperta. Perché una città d’arte non va mai in letargo. Ma serve coraggio per crederci davvero. Chissà che qualcuno non si svegli.
1- Cazzo me lo fa fare di venire ad Arezzo ora…io me ne vado in Tirolo tra le nevi semmai.
2- Arezzo è all’avanguardia sui rifiuti come dimostra il suo lunfgimirante puntare sul milionario raddoppio e più dell’ inceneritore invece che sul palloso riciclaggio. Ma si è fermata sul più bello: finite le meraviglie della casa di Babbo Natale, della ruota panoramica, della pista del ghiaccio e del Lego deve fare la pista da sci sopra l’inceneritore, come a Copenhagen. Tutti i tifosi degli inceneritori dicono sempre: “non lo volete? Ma se a Copenhagen c’hanno fatto sopra pure la pista da sci!”
Io fino a quando non vi modernizzate in questo periodo andrò sempre in Tirolo o a Copenhagen.
3) Ho conosciuto aretini del centro storico e mi dicono tutti: “almeno fino a Pasqua vorrei non vedere un turista che sia uno…poter arrivare tranquillo a casa senza che il passaggio sia interrotto per qualsiasi convention di coglioni che gli piglia il ticchio di fare un’iniziativa, e poter posteggiare …andare al Prato come se fosse un parco pubblico…godermi tutte le Antiche botteghe e Antichi ristoranti sorti nell’ultimo paio di anni che languono semi deserti…girare vedendo le solite consuete facce dei pochi che siamo rimasti e senza sentire parlare il ciociaro a ogni angolo…sentirmi meravigliosamente arretrato rispetto a quei geni della Confcommercio che ci amministrano e a quell’associazione di categoria che si chiama Comune che fa lobbyng sotterraneo per influire sulle scelte cittadine.”
Ecco…è la cultura del turismo…l’apertura internazionale che vi manca!…e finché non vi evolvete quelli come me al massimo si fermeranno all’outlet di Foiano, che come saldi vi fa un culo così.
Dopo l’orda natalizia (al Prato l’erba non crescerà mai più) io farei l’elogio del mortorio.
L’eventismo è il grande male odierno dei centri storici, è il modo migliore per svuotarli sfiancandone i residenti.
Mentre altri corrono ai ripari (tardivamente) in un comune confguidato come il nostro si va chiaramente in senso contrario.
Di poco chiaro invece ci sone le fondazioni. Mah!