Nel 1400, ad Arezzo, vi erano numerose gabelle, ovvero imposte, riscosse direttamente dal Camerlengo, l’amministratore della comunità aretina, per tutta la vasta diocesi. Tra le principali tasse si annoveravano:
- La gabella delle porte della città e dei paesi
- La gabella sui molini del grano
- La gabella sulle bocche (imposta per ogni membro della famiglia, mirata a limitare la prole)
- La gabella sugli orti in città
- La gabella sul bestiame
- La gabella sui passeggeri in transito alle dogane di Monte San Savino, Ciggiano, Oliveto, Monterchi, Anghiari, Pieve Santo Stefano, Campi e Rassina
- La gabella sul grano, sulle greggi, sulla farina, sul pane cotto
- La gabella sui pesi e sulle misure utilizzate, sui banchi per la vendita al pubblico e persino per le cause legate a dispute civili
Tali imposte, che gravavano pesantemente sulla popolazione, contribuirono a frenare la crescita economica della comunità aretina, pur favorendo i commercianti e i proprietari terrieri strettamente legati al potere di Firenze. Questo sistema di tassazione e il controllo economico esercitato da Firenze portarono a un drammatico calo demografico: nel 1737 la popolazione di Arezzo si era ridotta a soli 6.000 abitanti.
Le porte di Arezzo nel XV secolo
Agli inizi del XV secolo, la città era dotata di quattro porte principali:
- Porta di Santa Croce (nota anche come Porta Crucifera)
- Porta Santo Spirito
- Porta San Lorentino, successivamente ricostruita con i bastioni per ordine di Cosimo I
- Porta Tarlati, che sboccava presso la torre omonima, situata non lontano dall’attuale cimitero comunale, nell’avvallamento tra il Duomo e la cittadella fortificata della Fortezza
I trasporti commerciali
Tutte le partenze dei trasporti commerciali avevano origine da Piazza San Francesco. Da qui, i carri e le merci proseguivano lungo via San Vito (oggi via Cavour), imboccando la vetus Cassia in direzione di Firenze.