“Non ne posso più! Caricare, mettere tutto dietro la slitta… e poi in alcuni posti non c’è neppure la neve! Mi tocca pure montare le ruote invernali!” borbottò Babbo Natale, stanco.
Gesù Bambino, con tono ironico, rispose: “Ovvìa, non ti lamentare! Non fai niente per dodici mesi e poi, per una decina di giorni di lavoro, sembri esausto. Pensa a me: non cresco mai, devo stare fermo al freddo e al gelo ad aspettare quei tre… Melchiorre, Baldassarre e Gaspare. E, come se non bastasse, uno porta l’oro, ma quegli altri due? Potessero portare un culaccio di salame! No, invece… l’incenso mi fa girare la testa e la mirra non mi piace!”
Babbo Natale ribatté: “Lo dici a me? Da un anno all’altro mi fanno entrare dai camini e poi mi tocca ripulirmi tutto ogni volta. Una volta, in un paesino, rimasi incastrato: arrivò quella racchia della Befana e cominciò a tirarmi scopate in testa, lanciandomi patate e carbone addosso!”
Gesù Bambino sospirò: “Oh! Sono due giorni che non cambiano la paglia all’asinello e a quella mucca cacona! Però, va detto, lo facciamo per rendere felici i bambini di tutto il mondo, e alla fine sono contento. Posso stare vicino alla mi’ mamma e al mi’ babbo. Ma, a proposito, cosa mi hai portato?”
Babbo Natale, con aria soddisfatta, disse: “Uno smartphone! Contento?”
Gesù Bambino lo guardò severo: “Innanzi tutto, non si dicono prima i regali che porti! Mi levi tutto il divertimento! E poi… hai visto che questi attrezzi portano alla dipendenza?”
Babbo Natale sbuffò: “Senti, o ‘cittino’, scrivi come tutti gli altri la letterina e io tornerò indietro a portarti quello che vuoi!”
Gesù Bambino, presa penna e carta, scrisse:
Caro Babbo Natale, vorrei la pace in tutto il mondo.
Babbo Natale, guardando il foglio, mormorò: “Speriamo che ci sia rimasta… almeno nella testa di qualcuno.”