Ogni giorno ci confrontiamo con l’aggressività, sia quella che osserviamo negli altri, sia quella che talvolta percepiamo in noi stessi, perché tutti noi, alle spalle, abbiamo il lupo nero e il lupo bianco: dipende a chi diamo attenzione, a chi diamo cibo. È un’emozione umana universale, con molte sfaccettature, che va oltre la semplice violenza fisica. L’aggressività si manifesta in modi differenti: attiva, passiva, verbale, emotiva, diretta o indiretta, ciascuna con le sue cause e i suoi effetti. La prima immagine che viene in mente pensando all’aggressività è quella attiva: urla, insulti, minacce o gesti violenti. È un’aggressività esplicita, che colpisce direttamente l’altro, spesso frutto di frustrazione o rabbia. Ma c’è anche un’aggressività più subdola: quella passiva. Questa si manifesta attraverso silenzi ostili, sarcasmo o comportamenti sabotanti. È meno visibile ma altrettanto potente, capace di erodere lentamente le relazioni interpersonali.
Le persone, in genere, portano con sé il carattere di base che le ha definite per tutta la vita. Chi è sempre stato irascibile tende, con l’età, a diventare più aspro, forse perché il controllo sugli impulsi si indebolisce, o perché le difficoltà legate alla salute amplificano l’insoddisfazione. Al contrario, chi ha un animo mite spesso rimane sereno o addirittura approfondisce questa tranquillità. Non mancano le eccezioni: situazioni di stress estremo o malattie possono modificare il comportamento di una persona, rendendo anche chi era pacato più rigido o resistente ai cambiamenti, come capita a volte in presenza di patologie. Tuttavia, le trasformazioni radicali del carattere sono rare.
Con l’età, il declino delle funzioni cognitive può amplificare i comportamenti aggressivi, come spesso accade negli anziani affetti da demenza. I cambiamenti neurologici riducono la capacità di controllare gli impulsi, trasformando talvolta una personalità mite in una più irascibile. Questo tipo di aggressività non va confusa con il carattere: è una manifestazione di una mente che si trova in difficoltà. Comprenderlo è il primo passo per affrontare il problema con empatia e strumenti adeguati.
Ma da dove nasce l’aggressività? Può essere una reazione a paure profonde, frustrazioni o traumi non elaborati. Può derivare anche da un desiderio di affermarsi, di proteggere sé stessi o chi si ama. A livello biologico, l’aggressività è legata alla sopravvivenza: nei secoli, ha permesso agli esseri umani di difendersi dai pericoli. Ma in un contesto moderno, questa energia primitiva può sfociare in comportamenti distruttivi.
L’aggressività, se lasciata esplodere, può distruggere. Ma se viene riconosciuta e compresa, può diventare una spinta costruttiva. Pensiamo alla rabbia che nasce davanti a un’ingiustizia. Questa emozione può motivarci a cercare soluzioni, impegnarci per cambiare ciò che non va, o affrontare i conflitti in modo sano. È l’energia che ci spinge a reagire, a resistere alle difficoltà, o a proteggere chi amiamo. Quando incanalata, diventa determinazione, forza e persino creatività.
L’aggressività non è mai fine a sé stessa. È una risposta viscerale a situazioni che percepiamo come difficili o ingiuste. Accoglierla, anziché respingerla, significa darle un significato. Possiamo così trasformarla da distruzione a costruzione, da impulso incontrollato a energia consapevole, creando cambiamenti positivi nella nostra vita e in quella degli altri. Comunque, il nostro è un pianeta di pazzi dove l’aggressività regna sovrana, e neanche l’avvento di Gesù e di tanti buoni profeti è riuscito a mettere un freno alle mefistofeliche azioni di Satana. A volte viene proprio voglia di dire: “Fermate il mondo, voglio scendere!”
S.S.C.