Arezzo certamente non poteva essere annoverata tra le città più industriali d’Italia, anche perché proveniva da una sottomissione centenaria a Firenze. Certo, il più importante settore economico era l’agricoltura, sviluppatasi dopo le bonifiche della Valdichiana effettuate dai Lorena. Tuttavia, non mancava di industrie.
Le attività industriali, cioè quelle con diversi addetti ai lavori, erano varie. Forse la più grande era la Fonderia A. Bastanzetti, una fonderia in ghisa e bronzo specializzata e conosciuta anche all’estero per la produzione di campane. Vi erano inoltre filande a vapore per la seta, considerate i gelsi piantati in tutta la Valdichiana per l’allevamento dei bachi da seta. Esistevano poi fabbriche di birra, di calce idrata, di cappelli di paglia, di maglieria, di marmi, di pettini, di paste alimentari a vapore e di pietre da macina per i mulini, oltre a concerie, lanifici e tipografie.
La particolare posizione di Arezzo al centro di quattro vallate, che facilitavano gli spostamenti, oltre a essere situata sull’asse principale della rete ferroviaria italiana e dotata di facili accessi stradali, agevolava l’attività commerciale. Lo dimostravano i due mercati settimanali, le quattro fiere annuali, principalmente dedicate alle attrezzature agricole, alle contrattazioni di granaglie, bestiame, seta e vino, quest’ultimo già noto ai tempi di Sulpicia e poi di Plinio. Quest’ultimo ne lodava la qualità, descrivendo tre varietà di uva: talpana, etesiaca e conseminia (talpana, o talpona, uva nera che dà mosto bianco; etesiaca, uva nera dolce coltivata già dagli Etruschi e proveniente dall’Asia Minore; conseminia, uva bianca resistente ma con buccia fine).
Il bilancio comunale prevedeva entrate superiori di 24-30 mila lire rispetto alle spese effettive, il che è significativo, ma si era solo agli albori!