Ah, il parco dell’anfiteatro di Arezzo! Luogo amato, chiuso al pubblico da oltre un anno e mezzo, giace nel cuore della città come un’attrazione esclusiva… per gli uccelli e qualche coraggiosa erbaccia. Un tempo polmone verde, oggi “simbolo di qualcosa che potrebbe essere” ma che di fatto non è. In effetti, l’unica cosa su cui tutti concordano è che il parco, nonostante i ripetuti annunci di riapertura, è rimasto chiuso. Perché? Perché qualcuno, sembra, dovrebbe pagare quei famosi 30.000 euro per risistemare il tutto. “Una cifra del tutto accessibile per le casse comunali,” si ripete come un mantra. Ma pagare chi, cosa e quando? Ecco il mistero.
Il ping-pong delle colpe
Per i cittadini il problema sembra chiaro e semplice: il parco è chiuso, il Comune ha soldi, il museo ha il controllo, quindi… chi di dovere faccia qualcosa! Ma qui comincia il balletto delle responsabilità. Il Comune? Dice di aver fatto la sua parte, di essersi persino prodigato con un parere positivo per la riapertura, sebbene quella non sia tecnicamente sua responsabilità. D’altra parte, il Museo Archeologico Mecenate, nella persona della direttrice Maria Gatto, sostiene che il Comune non abbia fatto il proprio dovere, essendo venuti meno i finanziamenti promessi.
L’ironia è che le dichiarazioni delle due istituzioni potrebbero sembrare perfettamente sovrapponibili se solo si invertissero i soggetti: entrambe garantiscono di aver fatto tutto il possibile, entrambe puntano il dito sull’altro, ed entrambe riescono a suonare come una sinfonia distorta, in cui ogni strumento accusa l’altro di suonare fuori tempo.
L’assessore che vede “parchi aperti”
Un’ulteriore perla è arrivata quando, di fronte a una domanda in Consiglio Comunale, l’assessore Casi ha prontamente risposto che una parte del parco era stata riaperta, precisamente quella su via Margaritone. Peccato che, secondo le testimonianze di chi passa quotidianamente da quella parte, il parco risulti tuttora chiuso e inaccessibile. Forse l’assessore ha sviluppato una rara capacità di osservare una dimensione alternativa del parco, un universo parallelo dove le panchine abbondano e i turisti siedono serenamente tra pini rigogliosi.
30.000 euro: una cifra troppo “esosa” per le istituzioni?
E poi ci sono quei maledetti 30.000 euro, una cifra che potrebbe risolvere la situazione in breve tempo. Certo, forse è una somma irraggiungibile per una città come Arezzo, nota per le sue casse sempre “stranamente” vuote. D’altronde, è più facile pensare di organizzare qualche evento natalizio di lusso, che investire in un parco pubblico che magari non porta immediatamente turisti. In fondo, si sa, un giardino che unisce la cittadinanza non ha lo stesso impatto di un mercatino di Natale. Sarà mica più redditizio investire in eventi stagionali anziché in un bene pubblico perenne?
Aisa Impianti: l’eroe mancato
Non dimentichiamo Aisa Impianti, che si era proposta di occuparsi degli alberi e persino di fornire nuovi arredi per il parco. Insomma, un’offerta allettante che avrebbe potuto risolvere parte dei problemi. Ma anche qui, invece di ringraziare e procedere, tutto si è complicato: servivano altre perizie, altri agronomi, altre riunioni. Invece di tagliare la burocrazia, si è deciso di aggiungere altra carta al faldone, complicando il processo al punto che, alla fine, Aisa ha dovuto inviare solleciti a cui nessuno ha mai risposto concretamente. Per fortuna l’Aisa non si è arresa: qualche risposta positiva c’è, ma intanto il parco rimane lì, chiuso, con le sedie immaginarie e i pini solitari.
“Scelgo Arezzo” e la raccolta firme
In tutto questo, c’è chi ha preso l’iniziativa: Scelgo Arezzo, che ha raccolto firme per la riapertura del parco. Con il piglio di chi conosce i ritmi della politica, i rappresentanti hanno deciso di inviare una petizione al Ministro della Cultura. Purtroppo, il Ministro Giuli non si è fatto vivo ad Arezzo per ricevere le firme. Ma non c’è problema! Magari, tempo qualche mese, le firme si raddoppieranno, visto che intanto l’unica certezza è che il parco rimarrà chiuso.
Parco Anfiteatro: più di un parco, un’istituzione della lentezza
E così siamo arrivati all’epilogo. Nessuno si muove, nessuno decide, nessuno fa. Il parco dell’Anfiteatro è chiuso, ma anche se non lo fosse, resterebbe il solito parco con qualche pino, dove ormai solo i cani randagi trovano un momento di pace. Forse in futuro diventerà un simbolo di resilienza burocratica, un esempio perfetto per i manuali di “come non gestire un’area pubblica”.
Fino a quel giorno, però, i cittadini continueranno a guardare il parco dalle sbarre dei cancelli, a immaginare un giardino che non vedranno mai. Ma, come dicono da queste parti, “qualcosa forse si muoverà”.