L’aggressività è un tema complesso, che mescola la natura di una persona con le ferite del suo passato. Quando incontriamo qualcuno che manifesta comportamenti aggressivi, è naturale chiederci se sia così per colpa di un trauma o se, piuttosto, non sia nato con una predisposizione alla rabbia.
In molti casi, l’aggressività può essere una reazione a ferite profonde. Chi ha subito abusi, abbandoni o privazioni durante l’infanzia spesso sviluppa una corazza fatta di rabbia, per difendersi da un mondo che percepisce come ostile. In queste situazioni, l’aggressività non è altro che una manifestazione di un dolore non elaborato, un grido che cerca di proteggere ciò che è rimasto vulnerabile. Le emozioni vengono espresse con veemenza perché non si è mai imparato a riconoscerle e gestirle diversamente.
Ma l’aggressività può anche avere radici biologiche. Alcuni studi indicano che esistono predisposizioni genetiche che possono influenzare il temperamento di una persona. Chi è più impulsivo, chi ha una minore capacità di controllare le proprie reazioni di fronte alla frustrazione, può tendere a rispondere con la rabbia. La chimica del cervello, come i livelli di ormoni come il cortisolo e il testosterone, può contribuire a questa inclinazione. L’aggressività, in questo caso, appare quasi come una caratteristica innata, difficile da modificare, ma non impossibile da gestire.
La maggior parte delle volte, però, la realtà è più sfumata. L’aggressività nasce dall’interazione tra la predisposizione individuale e l’ambiente in cui una persona cresce. Anche chi è biologicamente più incline all’ira, se immerso in un ambiente amorevole e sicuro, può imparare a gestire i propri impulsi. Allo stesso modo, chi non ha una predisposizione particolare può diventare aggressivo se vive in un contesto fatto di violenza e mancanza di affetto. Questo dimostra quanto sia importante il ruolo dell’educazione e delle relazioni nel plasmare il comportamento.
Anche se l’aggressività ha spesso una causa, non significa che sia giustificabile. È fondamentale che una persona riconosca la propria responsabilità nel modo in cui sceglie di esprimere la rabbia. Alcuni, attraverso la terapia o percorsi di riflessione interiore, riescono a trasformare la propria irruenza in energia positiva, imparando a gestire la frustrazione e a esprimere il proprio dolore senza ferire gli altri. Ma non tutti hanno la possibilità o la capacità di fare questo percorso, e spesso l’aggressività si trasforma in un circolo vizioso, dove la solitudine alimenta la rabbia, allontanando ancora di più chi potrebbe offrire comprensione.
In questi casi, l’empatia può diventare una chiave per spezzare il ciclo dell’aggressività. Provare a guardare oltre il comportamento aggressivo, cercando di capire il dolore che lo ha generato, può essere il primo passo verso una possibile trasformazione. Tuttavia, è altrettanto importante sapersi proteggere. Ho conosciuto nella vita normalissime persone ordinarie, come me, che mi hanno confidato che, in uno o più periodi della loro vita, a loro detta…stressanti, sarebbero usciti di casa e volentieri avrebbero dato due pugni al primo malcapitato passante. Poi la ragione, dell’ultimo secondo, forse grazie all intervento di un Angelo, li aveva ricondotti a più miti consigli, prima che il malaugurato desiderio fosse poi reso realtà, come da certi TG abbiamo avuto modo di constatare che possa avvenire. Quale forza ancestrale negativa può, in casi stressanti, offuscare la nostra ragione, il nostro raziocinio? Quando l’aggressività di qualcuno diventa una minaccia concreta, bisogna mettere al primo posto la propria sicurezza, ma nel caso del passante malcapitato, come si fa?
Riconoscere la complessità dell’aggressività significa comprendere che dietro ogni comportamento c’è una storia, fatta di traumi, predisposizioni, scelte e possibilità. E proprio perché ogni storia è unica, il percorso per uscirne deve essere cucito su misura, con la giusta dose di comprensione, ma anche con la capacità di stabilire dei confini”. * S.S.C.