Nel 1557, Andrea Cesalpino, nella sua opera “De metallis”, menzionava l’acqua di Montione, una sorgente di acqua minerale gassata, leggermente acidula e ferrugginosa, situata lungo le sponde del torrente Castro, vicino a un piccolo agglomerato. Nel 1819, fu allacciata e nel 1823 fu eretto uno stabilimento balneare con vasche per i bagni.
Poco lontano dalle mura di Arezzo si trovava l’acqua delle Caselle, oggi sostituita da campi da calcio. Questa acqua, alcalina e solforosa, sgorgava nel luogo noto come “Burrone della Silice”. Nelle vicinanze si trovava anche il pozzo di San Leo, caratterizzato da un’acqua alcalina e ferrugginosa. L’acqua del Palazzone della Chiusa dei Monaci aveva un sapore simile a quella precedente, come quella della Chiusa Aliotti.
Un’altra sorgente era quella del Vingone, che sfociava nella Chiana, prima che il canale confluisse nell’Arno; quest’acqua sgorgava dalla ghiaia presente nei terreni tra San Leo e il canale maestro. Infine, c’era l’acqua di Poggio Rosso, nella Val di Chiana, che si trovava proseguendo da Frassineto, con un sapore di sale marino, utilizzata persino come rimedio contro i vermi!
Molte di queste acque non sono più potabili, ma erano rinomate come acque minerali curative fino all’inizio del XX secolo. Personalmente, ho bevuto quella ferrugginosa che sgorgava prima della Chiusa dei Monaci. Da bambino, anche l’acqua dei fossi, sia tra i campi che nelle foreste casentinesi, non mi era estranea. Ma il tifo nero, ahimè, l’ho contratto a Bormio, mentre assaporavo una manciata di neve fresca. Disteso al sole sulla neve, portavo la neve alla bocca con un guanto, ignorando che poco prima era stata pascolata da qualche animale.
Febbre a 42 gradi e un mal di testa incredibile mi costrinsero a tornare a casa ad Arezzo. Curato e debellato, con bruschette abbrustolite, attesi l’arrivo del mio dottore, tornato dalle ferie dopo una settimana. Mi fece fare le analisi delle feci… ed ecco, era tifo, ma sconfitto!!