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Il lavoro tra comodità e sfide: un equilibrio fragile

Tra lavoro remoto e carriere impegnative, trovare il giusto equilibrio tra vita professionale e personale è una sfida cruciale per il benessere e la realizzazione

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“ Il modo in cui lavoriamo sta cambiando, e con esso cambia anche il nostro modo di vivere. Lavorare da casa è diventato per molti una nuova normalità, una scelta che offre comodità e flessibilità. Tuttavia, anche la comodità può nascondere insidie. Chi rimane tra le mura domestiche per lavorare, senza mai staccare veramente, può trovarsi prigioniero di una routine che lentamente isola dal mondo esterno.

Immaginiamo una situazione comune: da un lato, c’è chi resta a casa, con il vantaggio di evitare spostamenti e di gestire il proprio tempo. Ma c’è un lato oscuro dietro questo privilegio. Senza un confine chiaro tra lavoro e vita privata, si rischia di scivolare in un ciclo senza fine di ore davanti al computer. Le otto ore canoniche diventano dieci, dodici, quindici. Il lavoro si espande, soffocando ogni altro aspetto della vita. Il rischio? Un crescente senso di vuoto, isolamento sociale e, nei casi più gravi, anche la depressione.

Per evitare questa trappola, è fondamentale imparare a stabilire una disciplina. Dopo otto ore, bisogna chiudere il computer, spegnere tutto e uscire. Andare a fare una passeggiata, un aperitivo, incontrare amici o semplicemente respirare un po’ di vita al di fuori di casa. Questi momenti di stacco sono necessari non solo per mantenere un equilibrio mentale e fisico, ma anche per ricostruire quel legame con il mondo esterno che il lavoro da remoto tende a indebolire. Senza questa capacità di disconnettersi, il comfort della casa può trasformarsi in una prigione invisibile.

Dall’altra parte, c’è chi ogni giorno esce di casa per lavorare, come è successo per millenni, soprattutto per gli uomini. Questo ha sempre mantenuto un equilibrio, dove chi rimaneva a casa, spesso la donna, poteva occuparsi della gestione della casa e, allo stesso tempo, di una famiglia in crescita. Il ritorno serale dell’uomo non interrompeva questo equilibrio. Tuttavia, quando è la donna a dover uscire per affrontare una carriera estenuante, la dinamica cambia.

Immaginiamo una donna che esce ogni giorno di casa, per affrontare il traffico, il freddo, o la fatica di spostamenti e lunghi orari di lavoro. Se è già madre, dovrà inevitabilmente affidare a terze persone la crescita dei suoi figli. Il nido, la babysitter, i nonni: figure che aiutano, ma non possono sostituire la presenza di una madre, soprattutto nei primi anni di vita. Se invece non è ancora madre, la fatica della vita quotidiana e il continuo correre potrebbero distrarla dai suoi desideri più profondi, o farle perdere di vista il fatto che il ciclo biologico non è eterno. Ogni giorno di rimando rischia di farle perdere la possibilità di formare una famiglia.

E tutto questo non è avvenuto per caso. Secondo alcuni, il cambiamento culturale che ha portato all’emancipazione femminile, con movimenti di liberazione e l’introduzione dell’aborto, è stato in parte orchestrato a tavolino dai poteri forti, come una strategia di “dividi et impera”. Questo canto delle sirene, che prometteva alle donne una libertà svincolata dai ruoli tradizionali, ha creato nuove possibilità, ma ha anche frammentato il tessuto sociale, indebolendo le famiglie e rendendo la società più vulnerabile. Una frattura che, per molti, è stata voluta per dividere e controllare.

Oggi, grazie allo smart working, si apre una nuova possibilità: quella di conciliare carriera e famiglia senza dover sacrificare la propria presenza in casa. Un equilibrio che sembra finalmente raggiungibile, e che permette di godere del meglio di entrambi i mondi, senza rinunciare né alla realizzazione personale né a quella familiare.

In definitiva, non è solo una questione di ruoli o di generi. Anche gli uomini, oggi più che mai, affrontano sfide legate alla gestione del tempo e al bilancio tra vita lavorativa e personale. Non sono più semplicemente coloro che escono di casa al mattino per tornare la sera, come è stato per generazioni. Oggi anche l’uomo può ritrovarsi intrappolato in una routine che, se non bilanciata, lo allontana dalla vita sociale, dalle relazioni significative, e persino da sé stesso.

L’essenza di tutto è che il lavoro, per quanto importante, non dovrebbe mai soffocare il nostro benessere o farci perdere di vista le cose che ci rendono davvero felici. La tecnologia ci ha dato la libertà di lavorare ovunque, ma sta a noi decidere come usarla per costruire una vita piena di significato. Trovare un equilibrio non è facile, ma è forse l’unica strada per non rimpiangere il tempo che passa.

Se penso al passato, a come sono cresciuta io, donna degli anni Cinquanta, con tre figli, cani e gatti, ricordo che avrei tanto desiderato poter lavorare da casa, come oggi è possibile per molti. All’epoca, i tempi non erano maturi. Il massimo che potevamo fare era qualche lavoro a cottimo, usurante, solo per arrotondare, magari chiudere scatole o svolgere mansioni simili, pur di contribuire senza allontanarsi dal focolare domestico. E oggi mi chiedo quante altre donne di quella generazione avrebbero voluto la stessa cosa: guadagnare come gli altri, ma rimanendo a casa, accudendo i propri figli e mantenendo viva quella rete di relazioni sociali, magari incontrandosi con le amiche per un tè, senza dover rinunciare né alla famiglia né al lavoro.

Alla fine, penso che l’unico vero equilibrio possibile sia quello che permette di stare vicino ai propri figli, anche se capisco e ammiro le donne che hanno saputo fare carriera pur crescendo due, tre, o quattro figli con una solida rete familiare alle spalle. Ma non è mai lo stesso di poterli crescere personalmente, di essere lì, giorno dopo giorno, a plasmare quel futuro che costruiscono con noi.

Sia per chi lavora da remoto sia per chi affronta la quotidianità esterna, la sfida è sempre la stessa: ricordarsi che il tempo non torna indietro e che alcune decisioni possono cambiare il corso della nostra vita per sempre. In questo nuovo mondo lavorativo, il vero successo è trovare un punto di incontro tra carriera, famiglia e sé stessi, senza mai perdere di vista quello che conta davvero.” * S.S.C. *

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Sabina Sabrina Crivellari
Sabina Sabrina Crivellari
Sabina Sabrina Crivellari, nata a Milano nel 1955, si trasferisce a Melzo nel 1990. Membro del “GAM” dal 1997, partecipa a mostre locali esplorando diverse tecniche artistiche: ritratti a matita, dipinti a olio, sculture in argilla e quadri in resina. Ha fondato una galleria d’arte e una scuola di cake design. Il quotidiano Il Giorno ha descritto via Napoli 37 come “la Montmartre di Melzo”. Attualmente, si dedica principalmente alla scrittura.
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