“Era il 10 luglio 2011 quando partimmo da Milano, pronti per un viaggio che avrebbe superato ogni nostra aspettativa. Dopo un volo aereo e una crociera attraverso i fiordi norvegesi, ci ritrovammo di fronte a una decisione inaspettata. Lo staff della crociera dei fiordi ci propose una variazione di viaggio: molti dei nostri compagni di avventura decisero di rimanere sulla proposta primaria: si accontentarono di arrivare solo a Capo Nord, considerandolo un traguardo già straordinario, noi, invece, guidati da un’inaspettata voglia di esplorazione, decidemmo di andare oltre, di spingerci ancora più a nord fino alle remote Svalbard, “un territorio estremo fatto per il 60% di ghiaccio e solo per il 10% di vegetazione costituita sostanzialmente dalla tundra senza alcun albero tanto da essere definito “deserto artico”ai confini del Polo Nord. Eravamo eccitatissimi, assolutamente impreparati, ma, in un istante, la voglia di scoprire e di esplorare vinse su ogni dubbio.
Questa decisione impulsiva si rivelò una delle migliori della nostra vita.
Mio marito, che aveva 81 anni, era già piuttosto anziano, ma manteneva ancora uno spirito libero molto avventuroso proprio del suo segno zoodiacale: il Sagittario, questo suo carattere rifletteva appieno l’energia e la passione per la vita che contraddistinguono questo segno.
Io, invece, sono del Leone, un segno altrettanto fiero e determinato, con un ascendente pesci e quindi un po’ più stanziale, legata alle onde calme della quotidianità e tra i due, ebbi, io, un attimo di incertezza e chiamai i figli (oramai grandi) che ci attendevano a casa, ebbi l’info che tutto era sotto controllo, da loro, e con l’entusiasmo di due ragazzini accettammo la proposta di aggiungere altre 500 miglia al nostro itinerario primario.
La prospettiva di questa nuova avventura ci entusiasmò incredibilmente, nonostante, ogni tanto , l’idea di sbarcare sui piccoli canotti per le spedizioni, con le acque gelate del mare di Barents, ci desse un attimo di apprensione, decidemmo insieme di cogliere “al volo”l’opportunità di spingerci oltre Capo Nord, fino alle isole Svalbard. Ci sembrava il momento “perfetto” per vivere questa esperienza.
La nostra inconsapevole tenacia fu ripagata da esperienze fuori dal comune: una tra queste, l’incontro con il popolo Sami, conosciuto soprattutto come “Lapponi”, e la commovente e indimenticabile dolcezza e giocosità dei cani da slitta, che potemmo conoscere, da vicino, durante una visita a un allevamento e come dimenticare la visita a uno dei più grandi albergo-bar di ghiaccio, un luogo tanto straordinario quanto surreale, dove tutto, dai mobili alle pareti, era scolpito nel ghiaccio…? Visione piuttosto triste, invece, qui è la, le miniere di carbone dismesse…e qualche agglomerato di case, non gradevoli come quelle delle isole Lofoten.
L’estate alle Svalbard, nel cuore del Polo Nord, era in pieno svolgimento, ma quella che trovammo non era l’estate che ci saremmo aspettati: il caldo era sorprendente, e il mio grande piumone nero lungo fino alle caviglie, che indossavo pensando fosse indispensabile, si rivelò, per il mio corpo, una trappola di calore. Il “sole di mezzanotte”, che non lasciava mai il cielo, creava un’atmosfera irreale, dove il tempo sembrava sospeso in un giorno eterno.
Dalla nave crociera, prima di sbarcare, ebbi modo di vedere da lontano l’Isola degli Orsi, un luogo affascinante e misterioso, dove si concentra una grande popolazione di orsi polari. Era una visione imponente e affascinante, e ci dissero che era proibito avvicinarsi o sbarcare lì, poiché sarebbe stato estremamente pericoloso. Tutti alle Svalbard sono armati perché la popolazione degli orsi è superiore al numero di abitanti. Un fatto interessante da sapere, è che il manto degli orsi polari, non è in realtà bianco, ma fatto da peli trasparenti, è la luce riflessa nella canna del pelo che gli conferisce quell’aspetto candido/panna che tutti conosciamo.
Sbarcati dalla nave crociera, ci avventurammo sui piccoli canotti – il loro nome preciso mi sfugge – che ci portarono verso la terraferma, navigando, non privi di apprensione nell’animo, per la vicinanza con l’acqua gelida. Ci immergevamo con gli occhi e con il cuore, in un mondo dove la natura regnava incontrastata: le montagne, scure come la notte, quasi nere, erano coperte da un manto di neve bianca che scintillava sotto il sole incessante. Il ghiaccio, a pelo d’acqua era di un azzurro intenso e bellissimo, rifletteva la luce del sole in modo quasi surreale, ma qua e là era macchiato di nero, un triste ricordo delle impurità che la nostra civiltà ha riversato negli oceani, arrivando persino fino al Polo Nord.
Ogni tanto, macchie di un rosso vivo interrompevano il candore della neve, sui fianchi dei monti, e il mio pensiero corse subito a qualche cruenta predazione recente. Immaginavo un orso polare che aveva appena fatto la sua ultima caccia. Ma la verità era meno drammatica: quelle macchie erano semplici licheni, così vibranti e sanguigni da sembrare, ai nostri occhi, quasi una scena “horror”. Non ho mai dimenticato quella visione! Mi creava… ansia, pur avendo, in sè, una bellezza primordiale.
Tra orsi polari, volpi artiche, uccelli migratori e distese di bianco, e nero e “azzurro ghiaccio” le isole Svalbard sono uno degli ultimi avamposti della “wilderness artica”, là dove l’uomo è solo un attore non-protagonista di quel remoto, “grandioso spettacolo” quotidiano, che prende il nome di “Natura”. Le nostre guide ci ricordavano, costantemente, di muoverci con cautela sulla terraferma fatta di ciottoli, neri, grigi e bianchi, di rispettare le fragili nicchie ecologiche che attraversavamo. I nidi degli uccelli autoctoni, nascosti tra i sassi, erano protetti da rigide regole, e ci veniva detto di camminare in fila, senza fare troppo rumore…e se, alla nostra guida, tramite ricetrasmittente, fosse arrivata informazione che un orso polare fosse anche solo a decine di Km da noi, riusciendo a percorrere 50km per brevi tratti, si sarebbe attivato il codice rosso per gli accompagnatori, che ci avrebbero dato ordine immediato di risalire a bordo canotto per raggiungere il più velocemente possibile la nave, visto la maestria di corsa e di nuoto degli orsi.
Le Svalbard sono un luogo dove l’uomo si sente “piccolo”, quasi insignificante, un attore, non protagonista, in uno spettacolo grandioso chiamato “Natura”. Con una popolazione di poco meno di 3.000 persone, superati, come dicevo, in numero dagli orsi polari, ci si rende conto di essere in una delle ultime frontiere selvagge del mondo, ai confini del Polo Nord. Tra le altre meraviglie delle isole Svalbard, si trova anche il “Global Seed Vault”, un enorme bunker in una montagna che custodisce i semi di quasi tutte le specie di piante del mondo, creato per proteggere la biodiversità in caso di calamità naturali o altre catastrofi. Purtroppo, non ebbi il tempo di visitarlo o di informarmi se fosse possibile farlo, ma sapere che in questo luogo remoto è conservato un tesoro così prezioso per l’ecosistema mondiale aggiungeva un ulteriore fascino alla nostra avventura.
Il programma di viaggio era stato pensato per offrire una panoramica completa della vita al 78° di Latitudine Nord, con escursioni quotidiane via mare e via terra, prima di far ritorno alla nostra confortevole cabina sulla nave crociera. Tornare a bordo dopo una giornata passata in mezzo al “nulla artico” era come entrare in un piccolo rifugio di civiltà. I bar eleganti, i ristoranti accoglienti, e le varie attività a bordo sono piccole testimonianze di normalità in un luogo che sembra uscito da un’altra epoca, o forse da un altro mondo.
Durante le escursioni, camminavamo tra resti di balene, le cui ossa, ormai quasi disintegrate dal tempo, erano diventate una sorta di museo all’aperto. Quel luogo, teatro di caccia e distruzione, era ora un monito silenzioso della forza della natura e del passaggio inesorabile del tempo.
Anche se non era il periodo per l’aurora boreale, non rimasi delusa. Il “sole di mezzanotte”, con la sua luce continua, aveva il suo fascino misterioso, anche se mi impediva, spesso, di dormire come avrei voluto. Ma in fondo, cosa sarebbe stata una visita alle isole Svalbard senza qualche piccola sfida da superare?
Questo viaggio non è stato solo una visita a un luogo remoto; è stata un’esperienza che mi ha avvicinato alla natura in modo nuovo e profondo. Tuttavia, non posso fare a meno di ricordare che, proprio mentre eravamo immersi in questa avventura straordinaria, il nostro cuore era appesantito da un tragico evento: il massacro del 22 luglio sull’isola di Utøya, dove molti giovani innocenti laburisti persero la vita. Un dolore che abbiamo portato con noi, come “una spina nel cuore”, e che ogni tanto, in noi, inaspettatamente…riaffiora. Anche se il viaggio è stato indimenticabile sotto ogni altro aspetto, questo triste ricordo ha lasciato un segno indelebile.
*Un viaggio alle isole Svalbard è un incontro con l’Artico nella sua forma più pura, dove il silenzio è rotto solo dal respiro del vento e dal passo maestoso e felpato degli orsi polari. In estate, il “sole di mezzanotte “illumina un paesaggio infinito, mentre d’inverno, “l’aurora boreale” danza nel cielo, avvolgendo il mondo in un abbraccio di luce e colori. È un’esperienza che ti fa sentire parte di qualcosa di più grande, un invito a riscoprire la natura nella sua essenza più selvaggia e a riflettere sulla bellezza e la fragilità del nostro pianeta. È stato il mio viaggio del cuore! Dico forse di tutti i miei percorsi così, ma questo lo è sicuramente un pizzico di più! Invito chi vuol recarsi a Capo Nord di fare uno sforzo economico e di tempo, e prolungare il viaggio fino alla terra artica. Come ho cercato di descrivervi…ne vale certamente la pena!!
S.S.C.