LUCREISE E LA SUA CUGINA DI TARQUINIA
Dopo che il marito era tornato al lavoro per riparare il carro, Lucreise, dopo aver sorseggiato un passato caldo di lupini umbri tostati, iniziò a descrivere ai due ragazzi l’Arezzo etrusca.
Lucreise: “Vedete là, quella collina con tutte quelle mura? Dove ci sono tutte quelle case e due templi, quello di Uni e quello di Turan. Ecco, quello è Castelsecco, o San Cornelio. Uni è la moglie di Tinia e madre di Ercole, formava con il marito e Menrva il triunvirato degli dèi etruschi. Era la dea della salvaguardia del matrimonio e della fertilità, mentre Turan era la dea…” Continua a leggere
Cerase: “La dea dell’Inter? Una squadra ai tempi del nonno avo?”
Lucreise: “No, sciocco! Turan è la dea dell’amore. E proprio qui sopra c’è il tempio di Menrva, dea della strategia in guerra e anche del commercio. Là a Castelsecco c’è un piccolo teatro, e l’insediamento, abitato da circa 6.000 persone, serve per controllare la via verso la Valtiberina.”
Lyn: “Ma che bella pettinatura hai! E che vestiti eleganti!”
Lucreise: “Noi donne etrusche curiamo molto sia l’abbigliamento che la pettinatura. Partecipiamo a tutte le riunioni politiche, alle decisioni di guerra e alle feste. E possiamo bere vino, che sappiamo vinificare bene. Per i gioielli, qui ad Arezzo abbiamo ottimi artigiani! Anche mia cugina Tanaquilla, di Tarquinia, prima di partire con il marito per Roma, è venuta qui ad acquistare oggetti e gioielli d’oro.”
Lyn: “E chi è Tanaquilla?”
LUCREISE E TANAQUILLA, MA…
Lucreise: “Piccola Lyn, la mia cugina si chiamava prima Gaia Caecilia, ma noi la chiamavamo affettuosamente ‘Caia Cyrilla’ perché era la più piccola tra i cugini. Sempre piena di iniziative, intraprendente e scaltra, ha sposato Lucumone, figlio di una sorella di mia madre e di un uomo greco molto colto. Ma essendo di origine mista, Lucumone non poteva aspirare a una carriera politica in Etruria. Così, due anni fa, dopo aver fatto acquisti qui ad Arezzo, presero il loro carro, il corredo e si trasferirono a Roma. Mentre attraversavano il Gianicolo, un’aquila volteggiò sopra la testa di Lucumone e gli tolse il copricapo, come a predisporre il posto per una corona. Infatti, ora Lucumone è diventato re di Roma e si chiama Tarquinio Prisco, ma il merito è tutto di Cyrilla.” Continua a leggere
Cerase: “Lo so, lo so! È quella che, quando morirà il marito, non lo dirà a nessuno e comanderà lei!”
Lyn: “Troppo toga!”
Lucreise: “Cerase, ma come fai a dire queste cose? Si è insediato solo da due giorni!”
Cerase: “L’ho letto nel mio cascosussidiario!”
Lucreise: “Sapete che i nostri uomini hanno deviato il corso dell’Arno…”
Ugo: “E vai! Ho fatto fare un altro giro alla manovella!”
Ruth: “Speriamo bene, chissà dove li hai fatti arrivare!”
Lyn: “Maremma, sembra di aver nuotato tantissimo!”
Cerase: “Ho il mal di mare… Oh, guarda lassù in cima! È il Partenone, siamo in Grecia!”
LYN, CERASE E SOCRATE
I due ragazzi si ritrovano in un’agorà, una piazzetta, salendo dal Pireo verso il Partenone. Nella piazza c’erano molti giovani più grandi di loro, vestiti con tuniche bianche. Al centro del gruppo, un uomo con barba e capelli ben curati, ma con la testa piena di concetti, idee e precetti. Vedendo i due ragazzi, esclamò: Continua a leggere
X: “Chi siete voi, ragazzi, senza grembiule bianco?”
Lyn: “Io sono Lyn e lui è il mio fratello, Cerase.”
X: “Io sono, io sono… Tu credi di sapere chi sei, ma non lo sei!”
Lyn: “Ma insomma… Chi sono io e chi sei tu?”
X: “Mi chiamano Socrate, e tu ti chiami Lyn. Ma noi siamo persone, individui dotati di una conoscenza innata, che ci permette di sapere sempre di più senza mai essere completamente sapienti. La nostra è una continua esperienza, e la vera sapienza è la consapevolezza di non sapere. Ora sedetevi con gli altri e ascoltate!”
Cerase: “Che barba, non ci ho capito niente!”
Socrate: “Coloro che credono in verità assolute o nella conoscenza completa sono spiriti poveri.”
Cerase: “Ah, ho capito! Facciamo un esempio: il braccio di mia sorella ora è lungo quattro palmi della mia mano, e… guardate! Ora si allunga ed è lungo dieci palmi della mia mano!”
Socrate: “Ma che? Non credo ai miei occhi… È magia o siete illusionisti? Dove siete? Non vi vedo più!”