“Le generazioni di oggi vivono in un mondo completamente diverso rispetto a quello in cui siamo cresciuti noi, i nostri genitori e nonni. C’è stato un momento di “grande rottura” intorno agli anni ’60, in cui il cambiamento fu talmente tanto dirompente da sembrare una “rivoluzione” a tutti gli effetti! La musica ne fu la scintilla, il linguaggio universale che accese una “trasformazione culturale” che andava ben oltre le note.
In Italia, ci trovavamo immersi nelle dolci melodie di artisti come Nilla Pizzi, Claudio Villa, Wilma De Angelis (per citare, i primi tre, che mi sono venuti in mente in questo momento che sto scrivendo, senza nulla togliere, ben inteso, ai tantissimi artisti italiani di gran valore nazionale) queste icone, interpretavano una tradizione musicale intrisa di sentimenti profondi e malinconici, che rispecchiavano i valori e le tradizioni ben radicate di quel tempo ma qualcosa stava per cambiare…
Da un’ altra parte del mondo, gruppi come i Beatles e i Rolling Stones irrompevano sulla scena, portando un’ondata di energia, ritmo e ribellione e moda di costume che, in breve, travolse anche il nostro paese. La musica beat, così innovativa e provocatoria, diventò il simbolo di una gioventù che non si accontentava più di seguire le orme dei propri genitori, ma cercava nuove vie, nuovi ideali. Non era solo musica: era un grido di libertà, un rifiuto delle convenzioni, un invito a vivere in modo diverso, a volte, perdendo il timone, sul “filo di rasoio”.
Da lì, la rivoluzione dei costumi fu inevitabile. Le minigonne, i capelli lunghi, lo stile hippie e l’estetica capellona divennero espressioni visibili di un cambiamento interiore ed esteriore, di una rottura con il passato. La moda divenne un mezzo di espressione politica e sociale, mentre i cortei e i movimenti studenteschi esplosero, soprattutto nel ’68, scuotendo le istituzioni e portando il dibattito su temi come i diritti civili e la libertà individuale.
Quel “mondo antico”, con i suoi valori solidi, talvolta buoni e altre volte oppressivi, sembrava cedere il passo a una nuova realtà, una realtà che però non tutti erano pronti ad accettare. Mentre alcuni vivevano questo cambiamento come un “risveglio”, un nuovo rinascimento, altri lo percepivano come un “crollo” delle proprie certezze, una perdita di ordine e stabilità.
Oggi, a distanza di decenni, possiamo guardare a quel periodo come a un momento di grande fermento e innovazione, che è sotto gli occhi di tutti che ci siamo persi per strada, infatti non possiamo fare a meno di confrontarlo con il nostro presente, in cui sembra che la creatività e la speranza abbiano lasciato il posto a un’epoca di grande depressione generale, oblio e oscurantismo.
Siamo testimoni di una crisi economica e sociale che ci fa sentire privati dei diritti che la generazione precedente dei “sessantottini”, avevano così duramente conquistato a suon di cortei e manifestazioni.
La fiamma di quell’epoca rivoluzionaria si è spenta, così come le pandemie…si è improvvisamente dissolta. Non tutto era buono, ma si cercava di battersi per i diritti di tutti… oggi, invece, stiamo vivendo un’epoca in cui le promesse di progresso sembrano svanire, e ci troviamo spinti verso un futuro che molti di noi non hanno scelto.
La “mefistofelica ombra del transumanesimo” si allunga minacciosa su di noi!
Una storia triste, pesante, quasi distopica, dove la perdita della nostra umanità, creata a tavolino, da chi, tanti pensano, sta più in “alto” dei nostri governanti, appare sempre più imminente. La riduzione della nostra essenza a qualcosa di meccanico, controllabile e manipolabile non è più un’idea fantascientifica, ma una realtà che si avvicina con rapidità e che, in altri paesi, dittatoriali “alla luce del sole”, è già in atto da tempo.
Siamo spinti, obbligati, ad accettare una trasformazione che non riflette i nostri desideri, né i nostri valori, una “disumanizzazione” che sembra inarrestabile, e che lascia un senso di vuoto, smarrimento e ribellione interiore e non vedo, nel popolo di oggi, il seme che permise a noi “bommers” di cercare vie nuove. Molto triste questo! Anche se la speranza è l’ultima a morire e cerco di pensare positivo…è bruttissimo da dirsi, ma, purtroppo, non vorrei avere cinque anni oggi!”
* S.S.C. *