Da alcune lettere di frati francescani si capisce lo sfruttamento e il potere del conio della moneta.
Nel 1398 un frate scrive, mandando una “libra” e 10 once di seme di carote ( circa 740 gr) a ringraziamento del paramento liturgico “pianeta” che aveva ricevuto e che aveva reso felici anche tutti gli altri frati.
Il Padre si scusa della pochezza di quanto aveva mandato, in quanto ” non potaria dire con quanta difficulta’ se ne trova: però che( perché) questi fiorentini n’ ‘anno comprato quanto n’ ‘anno trovato e mandato in Firenze, e per certo ce ne mecterano ( ci metteranno) grande charestia”.
E così fu , ma dalla carestia si passa, facilmente alle epidemie, e infatti dopo due anni si ha la peste del 1400, cosa che già 50 anni prima aveva colpito Firenze e parte della Toscana.
i si domanda perché venga la carestia quando la produzione alimentare di una zona non è più sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione. Il grano, i campi, non conviene più coltivarli, l’Europa ci dà soldi per mantenere i pascoli e si importa grano con diserbanti e prodotti chimici dall’estero, per risparmiare sulle emissioni di CO2. Che assurdità!
Diavolo di un verde malefico!
Successivamente, durante il periodo della pestilenza, si fa presente che Arezzo non ha avuto morti, anzi, chi era malato è guarito e la situazione è tranquilla.
Si invita la famiglia che aveva offerto la “pianeta” a trasferirsi ad Arezzo e a trovare casa vicino al convento, dove un po’ di prodotti dell’orto sono sempre genuini.
Storia:
Arezzo, sottoposta a tasse da parte della repubblica fiorentina triplicate rispetto al periodo del vicariato vescovile e senza una propria moneta, viveva di stenti e di elemosine, salvo i nobili e i facoltosi commercianti.
Si dice che Chocchi Albergocti (Checco Albergotti), con le sue merci, riempisse i carri di trasporto diretti a Firenze, al punto che non c’era più posto, neppure per dieci carote!